Le immagini e le notizie che ci giungono dai territori occupati da Israele ci mostrano la naturalezza del male: il conflitto arabo israeliano miete vittime quotidianamente e spesso tra i più indifesi, come sono i bambini; nella maggior parte palestinesi ma anche israeliani.
Nel luglio 2004 la Corte internazionale di giustizia ha definito occupati da Israele i territori palestinesi invasi (compresa Gerusalemme Est) durante la guerra dei sei giorni del 1967 (wikipedia); una guerra che Israele subì e non provocò.
Tuttavia, i territori occupati rimasero e sono tutt’ora sotto il giogo dell’occupazione militare dell’esercito della stella di David.
La posizione di Israele, che ritiene le conquiste belliche intangibili, contrariamente a quanto prevede il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite, è nota.
Lo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “nella RISOLUZIONE N. 2334 (23 DICEMBRE 2016), riconfermando le sue risoluzioni sull’argomento, comprese le 242 (1967), 338 (1973), 446 (1979), 452 (1979), 465 (1980), 476 (1980), 478 (1980), 1397 (2002), 1515 (2003) e 1850 (2008), ha riaffermato l’inammissibilità dell’acquisizione di territori con la forza, riconfermando l’obbligo di Israele, potenza occupante, di attenersi scrupolosamente ai suoi obblighi legali ed alle sue responsabilità in base alla Quarta Convenzione di Ginevra, riguardanti la protezione dei civili in tempo di guerra,
del 12 agosto 1949, e ricordando il parere consuntivo reso dalla Corte Internazionale di Giustizia il 9 luglio 2004, condannando ogni misura intesa ad alterare la composizione demografica, le caratteristiche e lo status dei territori palestinesi occupati dal 1967(cit. dossier del gruppo insegnanti di Geografia autorganizzati).
Ora importanti fonti israeliane e non più straniere o arabe affermano senza mezzi termini che l’occupazione è diventata segregazione razziale: Tamir Pardo, capo del Mossad, il servizio di sicurezza israeliano tra il 2011 e il 2016, ha dichiarato che il trattamento riservato ai palestinesi è paragonabile all’apartheid, il sistema basato su un razzismo istituzionalizzato che ha governato il Sudafrica fino al 1994. “Un territorio in cui due popoli sono sottoposti a due sistemi giuridici separati è in uno stato di apartheid” ( fonte: https://www.google.com/amp/s/www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2023/09/07/amp/israele-cisgiordania-apartheid ).
In questo contesto l’Unione Europea che si limita a rifarsi alle ragioni storiche della “questione palestinese” senza adottare alcuna sanzione ma che viceversa ha adottato e promuove senza esitare sanzioni di ogni genere contro la Russia che ha occupato una porzione di Ucraina, sembra amare l’apartheid, di cui nessuno invece può accusare i russi.
“Riportare l’attenzione sulle radici storiche della “questione palestinese” suggerisce che descrivere la situazione in Israele e Palestina come una mera disputa territoriale è inadeguato e, al contempo, richiede di ridefinirla attraverso l’ottica del colonialismo d’insediamento, della discriminazione razziale e dell’apartheid. Molto prima che riemergesse nel discorso pubblico, diversi autori palestinesi, tra cui Fayez Sayegh ed Edward Said, hanno evidenziato il carattere coloniale del progetto sionista rilevando il suo obiettivo annessionista (cit. https://www.affarinternazionali.it/israele-palestina-ue-ignora-cambio-paradigma/ ).
Immagini come questa, comparse pubblicamente in questi giorni su un noto social in un video alla pagina del signore ivi indicato, dove un bambino viene portato via bendato da soldati armati che non paiono certo Palestinesi, devono sollevare una chiara protesta da parte di qualsiasi paese od organizzazione che si ritenga civile, a prescindere dal colore delle divise.

A noi che abbiamo come statuto la difesa dei diritti umani non ci resta che mostrarla, perchè la sensibilizzazione collettiva è una via per contrastare questa situazione disumana. Noi ci permettiamo di suggerire una cosa semplice perchè un bambino come quello della foto ed altri come lui, arabi o israeliani, possano di nuovo tornare a giocare, magari a calcio: di chiedere alla FIFA e alla UEFA di fare entrare ad ogni inizio partita, finchè l’occupazione e la segregazione razziale non finirà ovunque, i giovani palestinesi e gli israeliani negli stadi, con squadre e arbitri; come avviene oggi con i bambini europei.
Migliaia di persone saprebbero e la consapevolezza fermerebbe il male più di qualsiasi sanzione o arma.




