Europa sì o Europa no: comunque vada ogni discorso di carattere politico finisce inesorabilmente per sfociare su uno sfondo europeo. Che riguardi questioni finanziarie, economiche o anche di carattere migratorio. Ogni stato, o forse sarebbe meglio dire ogni ‘ingrediente’, sembra essersi pienamente amalgamato all’interno di un unico grande minestrone dal nome Europa. Tuttavia, l’errore comune che si compie è sempre lo stesso, ovvero quello di confondere l’Unione Europea con l’Europa. Un pensiero che in definitiva ha inquinato la mente di tutti i cittadini europei e ha creato degli ulteriori confini immaginari che possono essere modificati a piacimento in base alle situazioni che poi si sviluppano. Esempio lampante è stata la guerra in Ucraina, con il paese che con l’Unione Europea non aveva nulla a che fare, ma che all’improvviso hanno trasformato nell’ultimo baluardo della resistenza europea… come se la Russia, in gran parte, fosse invece da considerare un’entità a sé ed esclusa dall’Europa continentale.
La stessa Turchia ha chiesto da tempo l’adesione alla UE ma guarda caso viene tenuta in sala d’attesa proprio per questa confusione che l’Unione Europea ha generato e alimenta.
Tra l’altro, far coincidere l’Unione Europea con l’Europa in realtà porta con sé un frazionamento interno. Non è nuovo infatti il discorso di un’Europa a due velocità, in cui l’Italia di certo non concorrerebbe per l’oro, rispettando a pieno il determinismo legato alla minore potenza economica che i paesi del sud sono destinati ad avere. In fondo poi si sa, chi conta in genere sono Francia e Germania che dopo essersi fatte la guerra per secoli, hanno raggiunto un compromesso che li ha messi al centro politico-economico del continente.
A questo punto quindi sorge spontanea una domanda: quando si parla di appartenenza europea, di che Europa si vuole parlare? Se da un lato viviamo tutti i giorni l’Unione Europea e dall’altra abbiamo un concetto di Europa cartografica, non possiamo trascurare tutte le altre ‘Europe’ in cui siamo immersi o che possiamo ritrovare. Lungo tutto il Novecento, il tema della costruzione dell’Europa fu al centro di dibattiti e discorsi, ma la questione di certo non è nata un secolo fa, anzi si trascina di fatto dall’epoca greca laddove si cominciano a considerare inconsciamente non-europei coloro che sono barbari, ovvero coloro che ‘balbettano’ perché non parlano in modo fluente il greco. Poi l’idea di Europa si è identificata nella lotta ai musulmani a partire da Carlo Magno, passando poi per il primo vero espansionismo coloniale della monarchia spagnola. Perché nei piani di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona vi era quello di cercare di chiudere a tenaglia gli avamposti musulmani, appunto sbucando fuori dalle Indie. Ma la storia ha avuto un corso diverso.
Il problema inoltre via via divenne un altro: quale religione? Perché finché la contesa fu divisa tra cattolici e ortodossi, semplicemente ci si spartirono due Europe diverse: quella occidentale ai cattolici e quella orientale agli ortodossi. Con l’arrivo del luteranesimo la questione divenne ancora più intricata. A quel punto si puntò prima sulla scienza e sull’ereditarietà delle scoperte scientifiche che sono sfociate nell’ottocento nella superiorità degli Europei rispetto al resto del mondo. Una concezione che ha favorito l’imperialismo di fine secolo. Sia il colonialismo spagnolo e portoghese del 1500 che l’imperialismo del 1800 però pongono un’altra questione: potevano considerarsi europee anche le colonie? La risposta seppure sembri semplice, in realtà non lo è. Erano mondi diversi, ma a capo di tutto c’erano pur sempre degli europei, ma che non per forza dipendevano dalla madrepatria. Se nel 1500 i problemi erano di carattere spaziale, ovvero non si aveva l’avanzamento nei trasporti che abbiamo oggi e le Americhe non erano esattamente ad un tiro di schioppo; nel 1800, soprattutto per quanto riguardò il colonialismo britannico, inizialmente furono le compagnie commerciali ad agire indipendentemente rispetto alla corona. Furono nazionalizzate solo in un momento successivo.
Se questo è stato il destino dell’Europa occidentale, riprendendo la visione cartografica, nell’Europa Orientale ci fu un altro fatto ancora diverso, ma che a suo modo stava portando ad un’idea di Europa: gli imperi. Il crollo degli imperi di fatto si verifica con la Prima Guerra Mondiale, ma in realtà le spinte centrifughe si erano susseguite a lungo in quelli che sarebbero stati i neonati paesi del post guerra. Una situazione particolare riguardò l’Austria-Ungheria. Nella neonata Repubblica Cecoslovacca, Masaryk aveva a lungo portato avanti l’idea della costruzione di una MittelEuropa. Una confederazione di stati dell’Europa centro-orientale che si dessero forza tra loro in modo da non cadere davanti ai primi pericoli esterni delle potenze più grandi che avevano attorno. Il problema però è stato sempre lo stesso: come si potevano garantire i rapporti di forza all’interno di questa possibile confederazione? Sarebbe stata necessaria una cessione della sovranità da parte di questi stati neo-indipendenti. Non è insolito però che tante idee siano saltate fuori da questo contesto e lo specchio probabilmente della situazione lo portò alla luce il contesto austriaco. All’indomani della guerra ci fu un grande senso di spaesamento per la ridefinizione dei confini. Tanti che si erano definiti austro-ungarici da un giorno all’altro non lo erano più. Dovevano capire a quale nuovo contesto appartenevano e quindi una nuova costruzione identitaria che li inquadrasse tutti, non era da scartare. Nel caso di Masaryk, per ovvi motivi, si escludeva l’Austria. D’altro canto nella stessa Austria nascevano delle prime ‘bozze’ di Unione Europea grazie ad una figura come Khalergi, che però avrebbe voluto fin da subito escludere la Gran Bretagna.
Alla fine è venuta fuori un’Europa paradossale: rifiutava l’esercito comune, ma era chiaro che in un contesto come quello della guerra fredda aveva forzatamente una funzione di frontiera, schiacciata tra due mondi che interloquivano a distanza sfruttando il suo suolo. E’ nata un’Europa che faceva dell’inclusione e della parificazione dei diritti il suo grande manifesto, ma che in realtà non ha fatto che accentuare le differenze tra chi già aveva le potenzialità e le risorse economiche per stare al potere e chi invece non le aveva più. Così la politica comune europea si è trasformata in un’azione da svolgere solo in situazioni estreme, ma la cui necessità è a discrezione di determinati stati membri, piuttosto che di altri. Esempio lampante la politica migratoria, che avrebbe bisogno di un piano comune e ben definito, ma che ogni volta viene lasciata in mano ai singoli stati. E allora forse viene da pensare che avesse ragione Bismarck, quando gli chiesero che cosa ne pensava dell’Europa. L’Europa nell’Ottocento non esisteva: era solo un pretesto per cercare di mantenere un equilibrio tra più stati che continuavano a fare unicamente i loro interessi. E forse oggi le cose non stanno poi in modo così diverso.
(Per approfondimenti si consiglia Heiki Mikkeli, Europa: storia di un’idea e di una identità, Il Mulino, 2002)




