La diffusione della responsabilità, la paura, l’effetto cinema.
Un recente grave fatto di cronaca, dove hanno trovato la morte tre giovani travolti dalla piena di un fiume nel nord Italia, impone di parlare di un fenomeno sociale denominato dalla cultura anglosassone “bystander effect”, l’effetto spettatore appunto.
La questione balzò all’attenzione dell’opinione pubblica statunitense negli anni sessanta del Novecento, in occasione della morte di una giovane donna a New York (Kitty Genovese), accoltellata , per strada davanti a numerose persone all’uscita del suo bar, dove nessuno intervenne, nonostante le ripetute grida di aiuto della ragazza.
Quel caso diede origine a numerosi studi e fu coniato il termine di cui in epigrafe.
Questi studi 1 incentrarono la spiegazione dell’inazione delle persone con la paura di essere coinvolti, nonchè il timore di subire danni personali e con la deresponsabilizzazione, dovuta alla compartecipazione di più persone spettatrici al fatto che induce a ritenere che altri possano comunque intervenire al tuo posto.
Tuttavia, mi sembra che, alla luce dei nuovi sviluppi della cultura digitale, si possa anche aggiungere l’effetto cinema, indotto dall’uso del telefono mobile.
Si tratta della incontenibile voglia di riprendere o fotografare le scene impreviste che si materializzano davanti a un possessore di smartphone: la spinta a riprendere è così forte, per i motivi più vari, che sovrasta ogni istinto di soccorso ed esclude ogni immedesimazione reale con le vittime da parte dello spettatore, quasi fosse solo una scena di un film.
Questa dissociazione costante, tra realtà e finzione virtuale in cui viviamo, fa perdere ogni inibizione morale e, soprattutto, sottrae spazio ideale all’azione concreta dello spettatore per risolvere il problema: come in un cinema lo spettatore non interviene perchè sa che è tutto una rappresentazione, così nella realtà, trasferita nello schermo estemporaneo dello smartphone, il testimone della tragica vicenda reale, qualunque essa sia, rimane sempre più inerte a riprendere senza intervenire.
E questo pare sia successo nel caso dei tre ragazzi in questione, travolti dalla piena del fiume davanti a una moltitudine di persone che, invece di soccorrerli o di tentare efficacemente di evitarne la tragica fine, si sono limitati a riprendere e postare sui social la scena.
Certamente, la paura di non essere in grado di fare nulla e di rischiare di essere a loro volta travolti dalle acque ha influito nella inazione generale ma ciò non spiega tutta la vicenda, nè la sola deresponsabilizzazione, legata alla presenza di altre persone tra cui ipotetici soccorritori istituzionali, è sufficiente a comprendere perchè, ad esempio, non si sia tentata una corda umana, come spesso avviene in casi analoghi.
Appare allora legittimo pensare che sulla concreta situazione abbia influito l’effetto cinema ovvero la trasposizione collettiva della realtà tragica in un mondo virtuale dello smartphone che ha escluso quei neuroni che avrebbero dovuto inventarsi una soluzione idonea a salvare le vittime.
Lo smartphone insomma ha catalizzato l’attenzione delle persone mettendo in sospensione, standby direbbero gli anglosassoni, quella parte umana del cervello che avrebbe trovato la soluzione e l’azione immediata.
Questo fenomeno cinema è sempre più massivo e vale per tutte le vicende del nostro tempo e questa ne è una terribile testimonianza.
- cfr. tra i moltissimi studi sul bystander effect: https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/0963721417749653 ↩︎




