Estratto del capitolo IV del libro: “Gli Uomini dell’Unità vite parallele di Camillo Benso di Cavour e di Carlo Cattaneo” L’Autore Libri Firenze, 2012.
Perché li abbiamo dimenticati
Ma perché l’Italia ha dimenticato il suo Risorgimento?
Sebbene la toponomastica di cento paesi ricordi i suoi eroi, tuttavia i martiri di un’epoca sono rimasti retaggio di un passato dimenticato dai più.
Come il don Abbondio di manzoniana memoria diceva “Carneade chi era costui“? Chi mai oggi saprebbe dire chi siano stati i martiri di Belfiore, o la Contessa di Castiglione, o Carlo Pisacane, o Daniele Manin, o Ciro Menotti, o Adelaide Cairoli ed i suoi figli. Ciò per citarne solo alcuni e senza voler mancare di rispetto a tutti gli altri eroi risorgimentali.
Sulla figura di Garibaldi rimane ancora una consistente familiarità popolare, ma su tutti gli altri protagonisti della stagione creativa dell’Italia, sembra essere sceso un nebbioso oblio.
La verità è che la gente predilige l’azione alla ragione e Cavour incarna specialmente la seconda, laddove Garibaldi rappresenta la prima.
Garibaldi è sentimento popolare, è il Generale che trascina le folle gettando il cuore oltre l’ostacolo e di lui è rimasto il mito: ma è un mito che non sarebbe mai esistito senza Cavour e Mazzini.
In realtà, con una similitudine geometrica si potrebbe dire che le tre figure di Cavour, Mazzini e Garibaldi, giganteggino come i vertici di un unico triangolo la cui area è l’Italia, in un rapporto di continuo interscambio, ove l’azione dell’uno finisce sempre per favorire uno sviluppo finale pianificato dal Cavour.
In ogni caso, parlare di triangoli non significa che Cavour sia mai stato massone, nè vi è nessuna prova che egli abbia mai fatto parte di tale associazione, ma deve sottolinearsi il dato evidenziato dallo studioso della Massoneria A. Mola (1) che: “in Italia ove l’unica tradizione comune e popolare era allora rappresentata dalla chiesa cattolica e nel cui ambito, in quella specifica situazione storica, ogni forma di conflittualità politica si presentava in costume regionale, con movenze e cadenze che testimoniavano la profonda diversificazione della penisola, le logge divennero l’unica scuola di unità nazionale”.
Secondo lo stesso studioso l’effettiva affiliazione di Cavour alla massoneria manca, in verità, di prove documentarie convincenti (A. Mola cit. pag.64).
L’urgenza di un sodalizio meta politico di sicura fedeltà cui, in assenza di partiti capillarmente organizzati e mentre l’apparato statale (ministeri e quadri della diplomazia) attraversava l’impetuosa crisi di crescenza, potesse venir affidata l’organizzazione del consenso, dentro e fuori del regno, per la causa italiana (A. Mola cit. pag. 58).
In realtà, la Massoneria è stata uno degli strumenti utilizzati dal Cavour senza però mai farne parte direttamente, ma furono le continue scosse insurrezionali, pianificate e realizzate soprattutto da Mazzini, che prepararono il terreno alla soluzione unitaria Cavouriana.
In questo contesto l’azione di Garibaldi, che massone fu certamente, funge come l’ariete che sfonda l’ostacolo finale.
La divaricazione tra ragione e azione è il motivo per cui il risorgimento rimane estraneo alla cultura popolare: Garibaldi è l’espressione della logica rivoluzionaria, per quello rimane l’unica icona del risorgimento ma quest’ultimo è ragione oltre che passione.
La ragione di Cavour inserisce la questione italiana nel sistema europeo.
Cavour capisce che l’unica strada per modificare lo status quo è inserire il problema Italia nel più ampio contesto delle contese tra le grandi potenze europee.
Cavour fa intendere, alla conferenza di pace, che segue la guerra di Crimea contro la Russia, che nessuna potenza europea può tollerare un’area d’instabilità rivoluzionaria nel cuore dell’Europa.
Contro gli interessi imperiali austriaci, egli esalta i contrastanti interessi francesi a sottrarre il nord Italia all’influenza delle potenze centrali e quelli inglesi alla creazione di una grande zona commerciale stabile nel mediterraneo.
E’ questa congerie d’interessi che riesce a dare alla rivoluzione Mazziniana di carattere puramente insurrezionale la forza per svilupparsi e le armi per combattere le guerre d’indipendenza.
Ma ogni guerra ha bisogno di un eroe che la combatta e questo è stato Garibaldi.
Come sempre accade, ciò che si ricorda nel mito è l’eroe, difficilmente il regista che ha preparato l’azione ed ha messo il protagonista nelle condizioni di svolgere il suo ruolo.
Ma vi è di più: questa divaricazione tra pensiero e azione, ed anche tra la rivoluzione pura e semplice e la strategia, ha lasciato l’idea diffusa che Garibaldi senza Cavour avrebbe risolto la lotta per l’indipendenza d’Italia con una maggiore considerazione per il popolo ed, in generale, per gli ideali della sinistra.
In realtà, questo è un falso mito come viene dimostrato dalle dure repressioni, fatte di eccidi e fucilazioni, che i garibaldini devono adottare contro le rivolte popolari nel mezzogiorno per mantenere l’ordine, ed evitare che i contadini si prendano le terre e trucidino tutti proprietari terrieri e chiunque sia da loro etichettato come “signore”; o meglio, per evitare l’anarchia insurrezionale foriera del ritorno della reazione.
Cavour diceva, a proposito del luglio francese e, poi, della spedizione dei mille, vedrete che i rivoluzionari messi di fronte alla necessità di gestire una società senza Governo quale è quella che risulta dalla rivoluzione, si trasformeranno nei peggiori reazionari (rectius useranno i metodi più reazionari).
Il Generale Garibaldi chiederà infatti invano a Cavour la dittatura del Sud e Nino Bixio dovrà ordinare la fucilazione di tanti contadini.
L’idea che è rimasta nell’animo di molti è che si sarebbe potuta fare l’Unità con il popolo e senza il Governo sabaudo, ma ciò dimentica che il popolo nella sua essenza è puramente conservatore: di fatto i contadini e gli insorti del Sud volevano le terre per loro e non certo, per una migliore distribuzione collettiva.
In realtà, solo l’esistenza di un buon governo e di un buon parlamento può dare uno sbocco riformista e duraturo al cambiamento. Viceversa, l’anarchia e gli stati d’assedio sono forieri di restaurazione reazionaria.
Cavour purtroppo muore prima di poter gestire l’Unità raggiunta, tra le ultime sue parole, vi è l’assoluto rifiuto della dittatura e dello stato d’assedio, che tanti gli richiedevano, in primis, Garibaldi e lo stesso sovrano.
La lettera scritta a Madame de Circourt il 29 dicembre 1860 (2) dimostra in modo esauriente, cosa il Cavour pensava delle dittature e del potere assoluto: “per quanto mi riguarda io non ho confidenza con le dittature e meno che mai con quelle civili. Io credo che con un parlamento si possano fare molte cose che sarebbero impossibili con un potere assoluto. Tredici anni di esperienza mi hanno convinto che un Ministero retto ed energico non ha nulla da temere dalle rivelazioni tribunizie e che se non è disposto a lasciarsi intimidire dalla violenza dei partiti ha solo da guadagnare da un contesto parlamentare. Io non mi sono mai sentito debole eccetto quando non sedevano le camere. Io non posso tradire ciò per cui ho combattuto, né rinunciare ai principi della mia intera vita. Io sono un figlio della libertà, ed a lei devo tutto ciò che sono. Se fosse necessario gettare un velo sopra la sua statua, non sarà affare mio farlo. Se qualcuno dovesse avere successo nel persuadere gli italiani che loro vogliono un dittatore, essi sceglierebbero Garibaldi, non me, ed essi avrebbero ragione. La via parlamentare è più lunga, ma più sicura. Le elezioni a Napoli ed in Sicilia non mi allarmano. L’opinione pubblica sostiene che esse siano la via sbagliata, lasciamogli questa opinione. I mazziniani sono meno temibili alla Camera che non nei loro clubs. L’esperienza della Lombardia mi rassicura in proposito. Lo scorso anno era in tumulto al tempo delle elezioni ed i risultati erano stati pessimi. Cattaneo, Ferrari e Bertani erano stati eletti con enormi maggioranze. Questi gentiluomini vennero alla Camera con un contegno minaccioso, profferendo insulti, quasi agitando i pugni. Bene, cosa hanno fatto? Battuti del tutto su due o tre punti, essi hanno finito per diventare così docili che nell’ultimo grande dibattito essi hanno votato con la maggioranza. La calma, la pesante atmosfera di Torino li avrà calmati ed essi sono tornati indietro domati. Gravi errori sono stati compiuti a Napoli. Farini non aveva abbastanza autorità all’inizio. Poi si sentì male; dopo aver subito un terribile dramma, pur essendo un uomo coraggioso, non potè resistere a questa successione di traumi; crollò è non fu più in grado di continuare il duro incarico che aveva accettato con la devozione che metteva in tutti i compiti.Lui sta chiedendo con tutta la forza della sua voce di essere sostituito. Il giorno che un uomo energico, non esausto, riprenderà il potere a Napoli, tutto ritornerà in ordine. La maggior parte della Nazione è monarchica, l’esercito è libero da ogni traccia garibaldina, la capitale è ultra conservatrice. Se con questi elementi non riuscissimo a riprenderci saremmo veramente incapaci.”
Ma il concetto sopra esposto era stato già chiarito dal Cavour il precedente 2 ottobre 1860 in un’altra lettera a Vincenzo Salvagnoli (3): “…una dichiarazione al Parlamento che tutta Italia appartiene al nostro regno sarebbe superflua per l’opinione pubblica in Italia ed equivarrebbe ad una indiretta e perciò intempestiva dichiarazione di guerra all’Austria. Non meno funesta, mi pare, a dirvela francamente, la proposta di fare accordare dal Parlamento al Re i pieni poteri sino al compiuto scioglimento di ogni questione italiana. Voi rammentate senza dubbio quanto i giornali inglesi rimproverassero gl’Italiani per aver sospeso l’esercizio delle guarentigie costituzionali durante la guerra dell’anno scorso. Il rinnovare ora, in un epoca di pace apparente, una tale disposizione avrebbe il più funesto effetto sull’opinione pubblica in Inghilterra e presso tutti i liberali del continente. Nell’interesse dello Stato poi questo provvedimento non varrebbe certo a rimettere la concordia nel grande partito nazionale. Il miglior modo di dimostrare quanto il paese sia alieno dal dividere le teorie del Mazzini e i rancori di altre si è di lasciare al Parlamento liberissima facoltà di censura e di controllo. Il voto favorevole che sarà sancito dalla grande maggioranza dei deputati darà al Ministero un autorità morale di gran lunga superiore ad ogni dittatura. Il Vostro consiglio riuscirebbe pertanto ad attuare il concetto di Garibaldi che mira appunto ad ottenere una gran dittatura rivoluzionaria da esercitarsi in nome del Re, senza controllo di stampa libera, di guarentigie individuali, né parlamentari. Io reputo invece che non sarà l’ultimo titolo di gloria per l’Italia di aver saputo costituirsi a nazione senza sacrificare la libertà alla indipendenza, senza passare per le mani dittatoriali di un Cromwell, ma svincolandosi dall’assolutismo monarchico senza cadere nel dispotismo rivoluzionario. Ora non v’ha altro modo di raggiungere questo scopo che di attingere nel concorso del Parlamento la sola forza morale capace di vincere le sette e di conservarci le simpatie dell’Europa liberale. Ritornare ai Comitati di salute pubblica, o, ciò che torna lo stesso, alle dittature rivoluzionarie di uno o di più, sarebbe uccidere nel suo nascere la libertà legale che vogliamo inseparabile compagna della indipendenza della nazione”.
Leggendo queste righe si capisce che il destino dell’Italia sarebbe stato diverso se Cavour avesse vissuto in forze almeno un altro anno.
Infatti, Farini seguirà il Cavour come capo del governo e applicherà lo stato d’assedio tanto temuto dal Conte e che partorirà la repressione contro il brigantaggio, ovvero il ritorno di quella reazione tanto paventata dal Cavour.
Si può perciò dire, a ragione, che fu la morte improvvisa del Cavour ad aprire la strada a quel contrasto insoluto tra riformisti e radicali che ancora travaglia l’orizzonte politico italiano.
Possiamo quindi cominciare a rispondere alla domanda che abbiamo formulato all’inizio del capitolo, nel senso che è stata proprio la mancata presenza di un Cromwell che ha nuociuto alla popolarità del risorgimento: il fermare la rivoluzione Garibaldina ha fatto l’Italia unita, impedendo sia la reazione della Francia e degli altri stati europei che avrebbero stroncato il sogno rivoluzionario, sia l’evoluzione in senso autoritario che si ebbe in germania con la formazione del Reich, ma ha impedito che si facessero gli Italiani.
Note:
1) Aldo A. Mola, Storia della Massoneria Italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani,1992, pag.61).
2) Nigra Costantino, Count Cavour and Madame de Circourt: some Unpublished Correspondence, Cassel and Company, 1894, London, Paris e Melbourne, p.91
3) Massari Giuseppe, Cavour, Discorsi Parlamentari, Torino, Botta, vol.12, pag. 389




