LE GARANZIE COSTITUZIONALI E GLI STATI DI ECCEZIONE

Breve saggio di diritto comparato tra Svizzera e Italia 

Zaccaria Giacometti ed alcune brevi

considerazioni in merito alla desuetudine costituzionale in Svizzera ed in Italia

***

In merito al cosiddetto stato di eccezione che ha colpito i vari Stati europei nel periodo della cd. pandemia e, successivamente, di guerra guerreggiata in Europa, si può fare un esame comparato tra sistemi giuridici diversi.

In particolare, il giurista che ha l’opportunità di esercitare la professione legale, sia a Lugano che in Italia, può evidenziare le similitudini e le differenze su come sia stato applicato lo stato di eccezione nei due paesi; in entrambi si è assistito alla sostanziale sospensione delle garanzie costituzionali per le persone: fatti che abbiamo visto accadere in modo abbastanza uniforme in tutta Europa negli anni 2020, 2021, 2022, 2023.

Tornando a Svizzera e Italia, è avvenuto, in entrambi i paesi, che si sia sentita la mancanza di applicazione effettiva delle costituzioni che non hanno garantito, quindi, una tutela adeguata ed efficace dei diritti fondamentali alle popolazioni ed alle persone.

Sia in Italia che nella confederazione elvetica, ed anche negli altri paesi europei occidentali, ci si è accorti che, proprio nel momento in cui la costituzione doveva servire all’uso per cui era stata creata e pensata, cioè quando avrebbe dovuto svolgere quella funzione di rigida garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo per la quale era stata scritta, essa è invece venuta meno alla sua funzione essenziale.

Venuta meno non solo nell’applicazione concreta delle garanzie individuali e collettive ma anche nella sua funzione generale di protezione.

Si è verificata una sorta d’inedita desuetudine generalizzata dei diritti fondamentali. Il fatto più rilevante è però che l’opinione pubblica non ha percepito la gravità dell’avvenuta disapplicazione delle norme costituzionali e ne ha addirittura approvato l’aggiramento e la sospensione da parte dei governi; si è generalmente ritenuto di poter tranquillamente fare a meno di garanzie formali davanti all’incalzare della narrativa sulla pandemia.

Perciò il diritto alla vita ed alle cure negli ospedali e nelle case di riposo per tutti è stato messo in discussione a danno di anziani e malati, allegando una presunta precedenza per i giovani o per i meno compromessi; la libertà di scelta delle cure obliata, le libertà, i diritti individuali, l’habeas corpus e l’habeas mentem, la libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, nonché del culto religioso o spirituale, tutto questo non è stato affatto garantito per oltre due anni, sul presupposto dell’esistenza di uno stato di eccezione. Lo stesso diritto alle cure a volte è stato subordinato a condizioni, quali ad esempio la vaccinazione con prodotti farmaceutici approvati con riserva al commercio e di cui non si conoscevano le conseguenze nel breve, medio e lungo periodo. Tutte queste situazioni giuridiche soggettive, queste libertà fondamentali, sono state compresse ed ostacolate, per giungere fino, addirittura, alla loro totale soppressione: infatti, in alcune fasi delle restrizioni, imposte dagli Stati alle persone, non si poteva lavorare, uscire di casa senza lasciapassare o autorizzazione dello Stato, né circolare, viaggiare, riunirsi, manifestare liberamente il proprio pensiero in modo difforme dalla narrativa ufficiale o esercitare il culto religioso, seppellire i morti o visitare i moribondi nelle strutture di cura.

Allora è corretto porsi il problema dell’efficacia e della effettività delle leggi fondamentali e ricordare che tutto questo è già successo nella storia, ed effettivamente anche in Svizzera: ciò avvenne già negli anni trenta del xx secolo ed all’epoca della seconda guerra mondiale.

Infatti, negli anni trenta e quaranta il consiglio federale, in un modo o nell’altro, sospese fondamentalmente la costituzione elvetica così come ha fatto ai giorni nostri con le leggi covid.

C’era un grande giurista grigionese, Zaccaria Giacometti (1893-1970), nato a Stampa nei Grigioni e professore di diritto pubblico svizzero a Zurigo che operò nel periodo tra le due guerre mondiali.

Il professor Giacometti all’epoca, nell’immediato periodo precedente la seconda guerra mondiale, cioè anni 30 e poi anche successivamente, difese strenuamente la costituzione svizzera; quale giurista insigne in ogni modo faceva presente il fatto che non si poteva subordinare l’applicazione della costituzione all’esistenza o alla fine di un’emergenza; qualunque fosse questa emergenza o stato di eccezione.

Ciò perché la “Grundnorm” cioè la norma costituzionale, la legge fondamentale, è un diritto positivo che, per definizione, non può mai essere obliato, a pena di non essere: se c’è un diritto fondamentale effettivo, esso è stato creato quale vero e proprio “dover essere”, perciò esso deve essere applicato sempre, a prescindere da quelle che sono le situazioni contingenti, ovvero quelle che, in qualche modo, si verificano in un periodo storico determinato. In difetto, viene meno lo stato di diritto e la funzione della Costituzione e la sua utilità.

Perciò il primo compito del giurista è di verificare qual è la funzione fondamentale del diritto, la ragione per cui esiste come strumento di gestione della realtà, di governo dei fatti che si trova di volta in volta a catalogare, delle fattispecie da incasellare.

La funzione ontologica del diritto è quella di essere applicato, laddove esso rimane sospeso esso non è più effettivo ed il vulnus, dato dalla sospensione della norma fondamentale, ne pregiudica interamente la funzione di norma di chiusura del sistema: se una Costituzione viene disapplicata essa non è più vigente in un ordinamento come norma fondamentale: sarà uno schermo di qualcosa di diverso ma non più una norma fondamentale vigente.

Se noi andiamo a fare la distinzione tra giusnaturalismo e diritto positivo vediamo che il giusnaturalismo è il diritto ancorato ai grandi principi non negoziabili: però quest’ultimo ha delle difficoltà ad indicare dei criteri oggettivi laici sulla base dei quali si basa il suo fondamento.

Secondo i positivisti rimarrebbe oscuro quali siano i principi oggettivi in base ai quali si dovrebbe fondare la creazione delle norme fondate sulla coscienza: l’appello alla coscienza individuale non ha connotazione oggettiva.

Secondo lo stesso Kelsen il richiamo alla coscienza, ai valori etici e morali del diritto naturale rimane perciò sempre un’arma a doppio taglio perché laddove non è chiaro il criterio utilizzato per le definizioni, esse corrono il rischio di diventare, inevitabilmente, arbitrarie, come lo è uno Stato etico.  Chi deve attenersi e a che cosa diventa uno stato ed un fatto deciso dai Governi pro tempore ad libitum; una condizione pubblica nella quale ogni portatore d’interesse può scegliere quali siano i principi che si qualificano come fondanti e quali no.

Per questi motivi, lo stesso Giacometti che, indubbiamente, ha meditato Kelsen, pensa che l’antidoto liberale all’arbitrio dello Stato etico debba essere un sistema di norme fondamentali poste e non derogabili, nemmeno in caso di situazioni di eccezione.

Di fatto, una situazione di una realtà in cui ci si trovi ad avere a che fare con un’epidemia non giustifica la deroga alle norme fondamentali, nè alle regole della divisione dei poteri: diversamente, la situazione in cui, per esempio, uno stato può anteporre a tutto il “diritto alla salute”, allegando che tale decisione sarebbe idonea a conferire un potere arbitrario agli esecutivi in contrasto con lo stato di diritto viola le carte fondamentali. E’ la tutela della vita libera e piena che è un principio oggettivo non quella di una porzione della stessa come la salute.

La natura etica di fondo del diritto alla vita, quale diritto pieno e complessivo non frazionabile, inviolabile e non negoziabile, non ne mette in discussione la oggettività.

Se invece subordiniamo alla salute tutto il resto, allora non solo la tutela della vita ma anche tutte le altre norme che tutelano la libertà personale o il diritto di riunione o il diritto di potersi spostare, di poter viaggiare, la libertà di culto, tutti questi diritti devono soccombere rispetto ad un presunto illimitato diritto alla salute pubblica e anche alla salute individuale.

Ma in questo contesto anche la salute diventa, diciamo così, un concetto vago perché non è chiaro cosa sia e di chi sia.

Può essere, di volta in volta, la salute dei singoli, la salute collettiva la salute di un gruppo etnico, la salute di una serie di persone, la salute dei giovani piuttosto che quella dei vecchi. Nemmeno è dato comprendere quale sia questa salute tiranna da tutelare in modo così assoluto da comprimere tutto il resto.

Si badi: “il resto” è tutto ciò per cui si vive, non una fetta marginale della vita: infatti cosa resta se non puoi esercitare nessuna libertà personale senza autorizzazione?

La comprensione delle libertà religiose, per esempio, incide tutto l’aspetto spirituale ma si va anche alla compressione di tutto ciò che invece attiene ad esempio al lavoro: alla possibilità di esercitare la professione medica liberamente.

Nel caso dei medici l’imposizione rigida di protocolli impedisce di esercitare la professione secondo scienza e coscienza adeguata al caso concreto, come invece prevede il codice ippocratico.

Ecco: tutto questo normale processo che prevede l’esistenza di diritti inviolabili che dovrebbero essere sempre garantiti cessa con lo stato di eccezione o passa in secondo piano, davanti a una sorta di diritto assoluto alla salute i cui confini sono determinati da chi ha il dominio della forza esecutiva e non più dalle carte fondamentali.

A titolo esemplificativo si può evidenziare che sono state difese tante persone in questo quadro pandemico, tante famiglie nelle quali, ad esempio, c’era il problema che il padre chiedesse la somministrazione di un nuovo trattamento ritenuto immunizzante al figlio e la madre si opponeva, allegando ragioni legate alla possibilità di effetti collaterali o di coscienza, oppure viceversa; in tali casi, è interessante analizzare cosa abbiano deciso i giudici.

In questi casi, si è notato che alla richiesta di valutare la effettiva necessità del trattamento terapeutico per il minore scattava nel giudicante un pregiudizio circa la necessità effettiva del consenso di entrambi i genitori per la somministrazione di un prodotto ritenuto idoneo a tutelare la salute.

Almeno in Italia, essi affermavano nelle decisioni di eseguire un rapporto costi-benefici: asserivano che secondo studi consolidati risultasse che il vaccino facesse bene, allora secondo loro il beneficio è superiore al fatto che il prodotto può avere degli effetti collaterali.

Ma la giustizia è la decisione del caso concreto, non un astratto gioco di concetti, quindi, non ha nessun senso appellarsi in una sentenza al fatto che in astratto il vaccino faccia bene: occorre vedere caso per caso le esigenze anamnestiche individuali e fare un corretto triage. Invece dalle decisioni traspare un’assoluta retrocessione della situazione individuale a favore della salute pubblica.

Ma non è questo il ragionamento che deve essere fatto secondo le nostre costituzioni.

Secondo le nostre carte costituzionali e i trattati internazionali ed europei uno Stato può importi un prodotto farmaceutico solo nel momento in cui il rischio individuale che l’assunzione di quel prodotto farmaceutico comporta non è banale per il paziente.

Cioè secondo le nostre carte costituzionali nessun ordinamento democratico può sacrificare una persona al benessere collettivo senza il suo consenso.

Il riferimento al rapporto costi-benefici riferito alla dignità della persona ne colpisce l’essenza, la sua vita che è il valore in assoluto più importante.

E’ del tutto eversivo, ovvero extra costituzionale, affermare: “ti sottopongo ad un prodotto autorizzato con riserva al commercio, quindi sperimentale, senza il tuo consenso perché se ne muore uno ma ne salvo 10 il rapporto costi benefici è favorevole”.

E’ illegittimo imporre qualcosa che può incidere il diritto alla vita o la dignità umana perché ogni vita va considerata come assolutamente universale: nemmeno sono chiari i criteri utilizzati per stabilire quante persone possano morire o rimanere invalide per l’uso del prodotto perché il costo sia ritenuto sopportabile per il beneficio collettivo.

In sostanza, il problema è che se sospendiamo le carte fondamentali il costo che la persona deve sopportare lo decide arbitrariamente lo Stato o meglio il potere esecutivo; ed infatti durante lo stato di eccezione i giudici si richiamano.. alle linee guida del Governo.

Essi appaiono in tal modo, né più né meno, ufficializzare quel fenomeno in atto, di abbattimento dei pilastri costituzionali di uno Stato, che viene efficacemente definito in filosofia del diritto come “RIVOLUZIONE GIURIDICA” (per cui “la norma fondamentale o grundnorm su cui il nuovo ordinamento fonderà la propria validità sarà quella che la nuova autorità o le nuove procedure rivoluzionarie avranno dettato in materia di forme e modi di produrre diritto”[1]).

Il ragionamento che si dovrebbe fare è invece che ciò che deve essere sempre tutelato dallo Stato è il diritto alla vita pieno ed incondizionato che mai deve essere frazionato.

Da un punto di vista giusnaturalistico il diritto assoluto alla vita è connesso inscindibilmente con quello della dignità umana e, se complessivamente inteso, questo è un principio che ha natura oggettiva e non soggettiva e confuta l’obiezione positivista della indeterminatezza dei principi giusnaturalistici.

 E’ per questi motivi che lo Stato ti può indurre ad usare quel prodotto per scopi d’interesse generale ma soltanto se il rischio per la vita non esiste (sarebbe in merito sempre necessario un previo monitoraggio attento nel breve medio e lungo termine); invece, se esiste un rischio non banale, occorre sempre il consenso del paziente e una preventiva e adeguata informazione sui rischi di invalidità o di vita concretamente esistenti.

Quello dei trattamenti terapeutici ai minori è un esempio che dimostra che quando si parla di diritto alla salute non è per niente chiaro a che cosa ci si riferisca; cioè la “salute”, proprio perché frazione del diritto alla vita, diventa, di per sé, un’arma o, meglio, uno strumento per imporre determinate decisioni autocratiche o tecniche che nulla hanno a che fare con gli scopi dichiarati.

Il problema fondamentale che pongono tutte queste situazioni di emergenza è un problema di arbitrarietà: vengono utilizzati l’emergenza e lo stato di eccezione per legalizzare comportamenti totalmente extra ordinem adottati dagli esecutivi dei vari paesi.

Oggi si parla di epidemia, domani può essere la guerra, successivamente può essere il cambiamento climatico: qualsiasi altro gioco che chi ha, pro tempore, il dominio della forza sfrutta o, peggio, crea per derogare alle norme ordinarie.

La soluzione giusnaturalista sarà perciò la tutela della vita e dignità umana quali principi oggettivamente determinabili mai quella ridotta della sola salute; la risposta positivista sarà invece, sic et simpliciter, l’applicazione sempre e senza deroghe delle costituzioni. La via delle costituzioni liberali, bene intesa da Giacometti, è invece quella che pone il dogma del rispetto senza eccezioni della legge fondamentale con l’unico limite a cui esse stesse devono soggiacere: la tutela della vita, complessivamente intesa come connessa alla dignità umana.

La decisione sulla dignità o meno della vita non può essere mai affidata allo Stato: la vita è sempre ed è da tutelare sic et simpliciter senza aggettivi.

La leggi fondamentali devono essere applicate, anche ed a maggior ragione, nei momenti di crisi, proprio in quanto create per circoscrivere in tali frangenti i poteri dello Stato.

La misura del funzionamento di un sistema di garanzie costituzionali, l’utilità di una costituzione sta nel suo grado di efficacia ovvero nella capacità di essere effettiva quando viene violata. La costituzione sarà vigente ogni volta che, a fronte di eventi tali da compromettere i beni tutelati, lo Stato la fa rispettare.

Quindi, l’illecito inteso come violazione della norma non è la fine o l’interruzione del diritto ma lo strumento di misura del suo funzionamento, utilità ed efficacia.

Occorre perciò lavorare su questo aspetto e far capire alla maggior parte delle persone che se la terapia che viene proposta è quella di derogare alle norme fondamentali esistenti, essa non è una terapia in linea con uno stato di diritto ma con uno stato etico.

Ed è una terapia che comporta innanzitutto l’impossibilità di verificare in modo chiaro quali siano questi criteri che governano diciamo così la restrizione ad libitum delle nostre libertà. Questo è tanto più vero perché si è ripetuto nella storia che i poteri esecutivi quando hanno avuto la facoltà di derogare o sospendere le carte fondamentali hanno sempre utilizzato politicamente tali poteri ed in via sempre più assoluta.

Ciò è avvenuto, come ho detto, quando nella seconda guerra mondiale anche in Svizzera furono sospesi i diritti fondamentali e sostanzialmente fu sospesa la costituzione.

Si dovette aspettare addirittura sino al 1949 per chiedere fortemente di poter ripristinare la legalità costituzionale, a guerra ampiamente finita.

Infatti, il consiglio federale, una volta che aveva ricevuto questi poteri assoluti, a causa dello stato di eccezione, della crisi economica degli anni trenta e poi della guerra, era riluttante a lasciarli e fu costretto da delle proposte popolari che solo nel 1952 ebbero successo.

La protesta popolare cominciò nel 1946 quando ci fu una richiesta da parte di molti gruppi e della popolazione svizzera di fare un referendum che inizialmente abortì.

Tuttavia si mise in moto un processo che nel 1949 portò poi a due iniziative referendarie che nel 1952, finalmente, raggiusero l’obiettivo di ripristinare la costituzione.

Oggi tutto ciò induce a pensare, perché si deve fare un parallelo con la cronaca attuale e la storia moderna e contemporanea che ci ripropone pandemia, guerra, cambiamento climatico, crisi economica quali matrici di nuovi stati di eccezione in pectore o appena trascorsi.  Allora nel 1945 la guerra era finita ma si dovette aspettare sino al 1952 e furono necessarie delle proposte referendarie per tornare alla Costituzione.

In Svizzera che dovrebbe essere il paese più democratico o di democrazia più antica d’Europa si dovette aspettare ben sette anni per ripristinare la Costituzione.

Ora è evidente che l’opinione pubblica non abbia imparato nulla da questa lezione perché poi nel 2020 ha approvato in via generale, di fatto, la sospensione delle garanzie costituzionali: con le leggi covid contro le quali gli “amici della costituzione” hanno proposto ben due referendum.

Dunque, si deve fare riflettere la collettività sul fatto che è accaduto di nuovo lo stesso errore degli anni trenta.

I referendum sulle leggi covid che pongono una spada di Damocle sui diritti inviolabili delle persone costituzionalmente tutelati, sono stati persi.

Però, come nel 1946, iniziano un percorso che è stato importante fare perché ampliano la platea delle discussioni e comunque si comincia a far capire che non è quella la strada da seguire quando c’è una crisi.

Qualunque tipo di crisi va gestita nell’alveo delle norme costituzionali e la via non è quella della sospensione delle norme: come afferma Kelsen, nella sua dottrina pura del diritto, il criterio per misurare il funzionamento di una norma è esattamente quello di verificare quanto quella norma viene applicata.

Se il criterio è questo le nostre costituzioni hanno ampiamente fallito perché è chiaro che abbiamo potuto constatare che le costituzioni rigide e scritte nè in Italia, né in Svizzera hanno funzionato.

La desuetudine in cui sono cadute le carte fondamentali nelle loro parti centrali del corpus iuris è sintomo di una malattia terminale non di una semplice influenza.

Quello che è crollato in occidente è lo stato di diritto e ciò è avvenuto dopo la crepa manifestatasi l’11 settembre del 2001 con il patriot act USA che diede la stura alle leggi liberticide ad oltranza cd. Antiterrorismo; tale crepa in oltre venti anni si è allargata a tutto l’occidente, fino a diventare una voragine foriera di un crollo dello Stato di diritto.

La stessa divisione dei poteri quale portato della rivoluzione francese è stata obliterata completamente da consuetudini costituzionali materiali che hanno portato gli esecutivi ad una bulimia vera e propria che ha fagocitato tutti gli altri poteri.

In Italia ed in Svizzera come in tutti i paesi del cd. Occidente si è obliterata la divisione dei poteri e soppressi i diritti inviolabili, quasi fosse esaurita la forza propulsiva della rivoluzione francese e dell’illuminismo che aveva nella tripartizione dei poteri il suo fulcro.

Non c’è più invece nessun tipo di autonomo potere legislativo: tutto il potere è stato concentrato nell’esecutivo, cioè si è ritenuto che il governo dovesse avere, in sostanza, un potere assoluto; fatto che la magistratura stessa si è limitata a ratificare.

L’esempio italiano è illuminante con lo strumento della fiducia su tutti i decreti legge il governo fa sistematicamente leggi e, praticamente, il parlamento si limita a ratificarli: non esiste più alcuna divisione reale tra potere legislativo e potere esecutivo.

L’ordine giudiziario che avrebbe dovuto istituzionalmente vigilare in concreto sulla attuazione della norma del caso singolo ed anche sull’applicazione delle norme della costituzione si è anche esso pedissequamente adeguato, salvo rare eccezioni, alle direttive dei governi.

Né alcuno ha vigilato sulla corretta applicazione degli stessi decreti legge del governo: questo potere giudiziario è scomparso dai radar.

Costantemente, la magistratura professionale si è limitata a applicare pedissequamente le direttive dell’esecutivo, tanto è vero che noi troviamo solo delle rare sentenze che hanno un vero approccio costituzionale in Italia ma sono quasi sempre e paradossalmente di giudici non togati ma onorari.

Per un giurista è terribile leggere in un provvedimento che il magistrato non si attenga ai principi costituzionali ma bensì affermi di attenersi alle linee guida dell’esecutivo: ma questo è successo sistematicamente durante tutta la pandemia.

Ma ciò è extra ordinem: il potere giudiziario è quello che deve vagliare le linee guida dell’esecutivo per vedere se sono conformi alle leggi non applicarle pedissequamente, diversamente, si trasforma in un organo amministrativo e non giudiziario.

Abbiamo quindi una vera amministravizzazione della Giustizia.

Dunque, è più che mai opportuno riportare alla mente quello che appunto diceva Zaccaria Giacometti e cioè che la libertà e la giustizia conquistate non sono per sempre ma sono, semplicemente, durature finché la popolazione le fa rispettare; farle rispettare può significare fare nuovi referendum avverso le nuove proposte legislative per costringere chi gestisce l’attività esecutiva e legislativa a non derogare mai alla legge fondamentale.

La stessa cessione di sovranità nella gestione delle crisi epidemiche ad organismi internazionali, come ad esempio l’OMS, di cui non sono chiari i finanziatori e i centri d’interesse che li guidano, è una cessione di sovranità da parte degli stati che viene fatta senza consultare i cittadini.

Con queste operazioni chi viene escluso dall’amministrazione dello Stato è il popolo a beneficio di un’oligarchia e, quindi, questo processo svuota di fatto gli organismi rappresentativi, ed è un fatto che indubbiamente va sottolineato.

Quindi anche attraverso le iniziative referendarie è, a mio parere, necessario rinforzare la possibilità di referendum che, se in Svizzera, ove c’è una democrazia diretta essi sono senza quorum e possono essere utilizzati come strumenti validi per contrastare queste prassi; in Italia dovrebbero essere aggiornati eliminando il quorum.

Sarebbe in ogni caso opportuno verificare però la gestione del voto per corrispondenza che appare il tallone di Achille delle iniziative referendarie, in quanto non dà garanzie sufficienti di sicurezza: soprattutto, vigilare sulla gestione delle schede da parte degli enti che smistano la corrispondenza, né appare del tutto certo che i sistemi d’inserimento e memorizzazione dei dati dei risultati per via telematica siano sicuri e non possano essere manomessi durante il percorso.

Il problema diventa sempre più rilevante con la massiccia privatizzazione delle poste o degli enti e piattaforme che vengono designati a gestire questi processi di archiviazione dei dati.

Il compito del giurista allora non deve essere solo quello di analizzare le norme che governano i sistemi complessi ma anche di verificare se l’apparato normativo esistente è efficace o meno, nello svolgimento della funzione ad esso assegnata dalla comunità di riferimento.

A tal fine, si può perciò concludere che se, da un lato, occorre rivalutare le funzioni delle norme fondamentali per evitare che vengano usate quale specchio per le allodole, ovvero come norme di copertura inefficaci di un sistema non democratico, dall’altro, occorre vigilare anche sulle privatizzazioni massicce degli strumenti di gestione dei meccanismi elettorali.

Diversamente, la bulimia del potere esecutivo coinciderà con una sempre maggiore attribuzione a centri d’interesse privati dei poteri pubblici, senza alcun controllo da parte degli altri poteri che si troveranno ad essere dei semplici notai di scelte aliunde eseguite.

Questo fenomeno che possiamo definire nuovo feudalesimo, determina la costante ed inesorabile concentrazione del potere nelle forze che hanno le maggiori disponibilità economiche e quindi nei centri d’interesse finanziario internazionale.

Nel momento in cui i fondi sovrani o altre entità si trovano a disporre della quantità maggiore di risorse, essi li investiranno nel controllo proprio dei poteri esecutivi degli Stati, così come attualmente avviene, a scapito degli interessi collettivi, della trasparenza, della giustizia e della potestà popolare.

L’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo ha pubblicato una ricerca dal titolo “La rete globale del controllo societario” secondo cui 147 imprese nel mondo sono in grado di controllare il 40% di tutto il potere finanziario[2]

Questa sempre maggiore concentrazione di potere economico può essere contrastata solo innescando un processo di smantellamento delle privatizzazioni che determini la nazionalizzazione di tutti quei servizi e beni essenziali che per natura e funzione non possono essere abbandonati al mercato.

Nel momento in cui affido i servizi sanitari al mercato è certo che solo quelli remunerativi resteranno efficienti, a scapito di tutti gli altri: in Italia nessuno cura professionalmente i bambini se i loro drg, ovvero i criteri per la remunerazione dei loro interventi chirurgici, valgono la metà di quelli degli adulti.

Ma gli stessi servizi remunerativi, una volta che prevarranno le forze monopolistiche, diverranno sempre meno efficienti: le leggi antitrust USA di fine ottocento hanno dimostrato che l’unica azione che può contrastare la deriva monopolistica è quella pubblica federale ma, in un sistema di massicce privatizzazioni, la stessa vigilanza antitrust finisce per essere fagocitata dai centri d’interesse privato: progressivamente anche l’autorità regolatrice diventa incapace di contrastare la massiccia concentrazione in poche mani dei beni e dei servizi.

Il mercato non è in grado di autoregolarsi, in quanto esso funziona secondo quelle che sono le leggi di natura ovvero della giungla, dove il più forte inevitabilmente prevarica il più debole.

Senza un’Autorità regolatrice dotata di adeguati poteri pubblici e non infiltrabile attraverso le privatizzazioni, perciò, la qualità dell’intero sistema crolla.

Questo è ciò che è avvenuto in Europa, laddove le autorità regolatorie ricevono proprio dai vigilati le loro risorse in pieno conflitto d’interesse: il caso dell’EMA l’Autorità regolatoria dell’unione europea dei farmaci è quello più eclatante: se si esamina infatti, il bilancio dell’ente regolatore per il 2021 si appurerà che: il budget totale dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ammonta a 385,9 milioni di euro. Circa l’86% del bilancio dell’Agenzia deriva da diritti e oneri a carico delle case farmaceutiche, e il 14% dal contributo dell’Unione europea (UE) per questioni di salute pubblica e meno dell’1% da altre fonti qui:[3]

A fronte di uno squilibrio di risorse questo tipo c’è poco da aggiungere e c’è da chiedersi quale controllo possa esercitare un ente così finanziato.

Ma la questione dei conflitti d’interesse diventa ancora maggiore se si va a vedere i bilanci dell’WHO.[4]

In questo caso, i principali finanziatori sono gli Stati Uniti, naturalmente, ma anche la Fondazione del patron di Microsoft, che con 531 milioni di dollari di donazioni non solo occupa il secondo posto di questa classifica, ma copre da sola quasi il 10% delle necessità finanziarie dell’organizzazione.

Ma non sono certo bruscolini nemmeno i 370 milioni di dollari donati dalla Gavi Vaccine Alliance, un’organizzazione internazionale che si occupa di vaccini e immunizzazioni e che gode del sostegno finanziario della Gates Foundation.

E se al quarto e quinto posto troviamo due potenze europee come la Gran Bretagna (7,79% del totale dei fondi) e la Germania (5,68%), nelle caselle successive troviamo un alleato di ferro degli Usa come il Giappone, un’agenzia ONU, la Banca Mondiale, il Rotary International e la Commissione europea. Ecco un’altro interessante grafico a torta:

Tutto ciò[5] conferma perciò che la cessione di sovranità da parte degli stati a cui stiamo assistendo è la causa della perdita progressiva di validità delle carte fondamentali.

La desuetudine delle norme fondamentali non rimane però senza conseguenze perché determina la emarginazione del popolo che, da protagonista emergente della politica statuale del XIX e del XX secolo, è divenuto vassallo o, addirittura, servo della gleba di centri d’interesse, per lo più occulti, essendo stato privato di strumenti normativi efficaci per regolarne o contrastarne o prevederne l’azione.

Di qui la terminologia usata di neofeudalesimo, anche se, in realtà, la stessa visione feudale è solo una fase intermedia perché il progressivo accentramento delle risorse tende verso una vera e propria condizione schiavile della popolazione, a favore delle forze monopolistiche in progressiva espansione.

Il compito del giurista, in definitiva, è quello di avere una visione sistematica e segnalare alla popolazione le linee di sviluppo in corso ed eventualmente i rimedi.

Questi ultimi non possono che essere una progressiva attribuzione agli enti locali dei servizi essenziali e della gestione dei beni collettivi come l’acqua, la produzione dell’elettricità, le poste, l’agricoltura di base.

Diversamente, il processo monopolistico determinerà anche in Europa le conseguenze già viste in altri tempi, ad esempio, negli Stati Uniti nel 1800.

A conferma di quanto sopra, basta citare lo Sherman Antitrust Act del 1890 che è uno statuto federale che vieta le attività che limitano il commercio interstatale e la concorrenza sul mercato. Lo Sherman Act fu modificato dal Clayton Act nel 1914.[6]

Questa legge è fondamentale per comprendere le dinamiche anticoncorrenziali e prevede quanto segue:

 § 1 della legge afferma che qualunque contratto, combinazione sotto forma di fiducia o altro, o cospirazione, in restrizione del commercio o del commercio tra i diversi Stati, o con nazioni straniere, è dichiarato illegale.”

 § 2 della legge vieta la monopolizzazione o tentativi di monopolizzare qualsiasi aspetto del commercio interstatale o del commercio e rende l’atto un crimine.

Quindi Il testo originale è suddiviso in due parti principali:

  1. La prima disposizione delinea e vieta specifiche condotte anticoncorrenziali. Questa disposizione non si limita solo ai cartelli formali, ma incorpora qualsiasi azione che limita il commercio tra Stati e con le nazioni estere. Tra le condotte illegali rientrano qualsiasi accordo per fissare i prezzilimitare la produzione industrialeripartire i mercati o escludere la concorrenza.
  2. La seconda disposizione proibisce tutti i tentativi di monopolizzazione del mercato negli Stati e con le nazioni estere.

Le imprese trovate in violazione della legge possono essere sciolte dai tribunali federali. Le violazioni sono inoltre punibili con ammende e reclusione. Infine, i privati lesi dalle violazioni sono autorizzati a citare in giudizio per il triplo dei danni subiti.

In Europa non esiste, di fatto, alcuna normativa anticoncorrenziale così efficace: malgrado esistano dei regolamenti europei antitrust la loro applicazione viene lasciata di fatto alla potestà discrezionale della Commissione Europea.

Si vede bene che la discrezionalità è sinonimo di arbitrio, se non di ingiustizia manifesta: si è avuto modo di vedere, in più occasioni, ad esempio, nel caso Alitalia o in quello dei trasporti passeggeri navali in Europa, o quello della grande distribuzione alimentare, che la discrezionalità ha determinato l’impunità di comportamenti apertamente monopolistici, con totale inefficacia delle prescrizioni antitrust europee già di per sé molto più blande di quelle USA.

Per concludere, l’adeguata tutela della comunità non può che essere perseguita utilizzando, non solo lo Sherman act e la normativa USA come base, ma anche la nostra tradizione romanistica molto più antica.

Infatti, la prima legge antitrust fu la legge Julia de annona del 18 avanti Cristo[7].

Come si può leggere il problema della concentrazione delle risorse ha una lunga tradizione storica e adeguati rimedi, spetta alle popolazioni però fare tesoro dei precedenti giuridici e storici e fermare il processo di privatizzazione e monopolistico in atto.

In Svizzera la legge sui cartelli risale al 1985 con il primo antitrust act, poi riformato il 1° luglio 1996 (LCart; RS 251) che ha fornito alla Svizzera degli strumenti di politica della concorrenza per lottare contro le conseguenze economiche nocive di cartelli e altre limitazioni della concorrenza.[8]

Tuttavia anche in questo caso il tallone di Achille della normativa svizzera è la discrezionalità che viene attribuita al consiglio federale che può ritenere ammissibili aggregazioni ritenute d’interesse generale se confacenti con l’interesse pubblico.

Ma questa discrezionalità ripropone il problema di fondo del Quis custodiet ipsos custodes chi custodisce i custodi e determina, per la Svizzera, problematiche analoghe a quelle che la discrezionalità della Commissione europea pone nella Unione Europea.

Infatti, proprio la estrema discrezionalità della Commissione nella applicazione della normativa dei trattati in tema concorrenziale ha determinato in Europa una totalmente inefficace garanzia della libertà di concorrenza.

In particolare, Zaccaria Giacometti s’interessò del principio di arbitrarietà. Il giurista afferma, nel suo manuale di diritto amministrativo, che il divieto di arbitrarietà era il più importante principio costituzionale e che esso può essere considerato come una massima di diritto positivo per gli atti amministrativi liberi da leggi[9].

Caratteristica per il positivista liberale Giacometti era la sua insistenza sull’idea dello stato di diritto; non accettava un’attività statale incontrollata e soggetta alla “libera discrezione”[10]. Giacometti, come detto, ha anche fortemente criticato il carattere autoritario della legislazione nel periodo tra le due guerre mondiali. A quel tempo, l’Assemblea federale ricorreva spesso alla clausola d’urgenza per eliminare il referendum legislativo. Durante la seconda guerra mondiale, l’Assemblea federale concesse poteri extracostituzionali al Consiglio federale.[11]

Zaccaria Giacometti commentò così: la Confederazione apparve “come uno stato autoritario con tendenze totalitarie” e i diritti di libertà furono eliminati.[12] Giacometti vedeva i diritti fondamentali, complessivamente deducibili, anche se non tutti espressamente indicati, dalla Costituzione federale, come espressione di una garanzia generale di libertà. Nel suo discorso da rettore all’Università di Zurigo, nel 1955, Giacometti afferma: “Dal sistema di valori liberale e dal significato del catalogo delle libertà nella Costituzione federale, si può cioè concludere che la Costituzione federale garantisce ogni libertà individuale che diventa pratica, cioè è messa in pericolo dal potere dello Stato, e non solo le libertà espressamente enumerate nella Costituzione”. “Questo è un altro esempio del coerente liberalismo di Giacometti. Il suo pensiero si basa sulla presupposta libertà dell’uomo senza la quale non si può concepire nessuno stato ragionevole”. La libertà non è un postulato del diritto naturale ma, come per Kant, un prerequisito per concepire uno stato in primo luogo”[13]. Andreas Kley ha scritto un’ampia monografia su Zaccaria Giacometti ed afferma: “La sua persona incarna un ideale per me“, dice Kley e sospetta che Giacometti causerebbe ancora più offesa oggi che ai suoi tempi perché ha sempre sostenuto un modo di pensare liberale. “A differenza dei suoi colleghi professori delle scuole di legge, la sua fedeltà al proprio pensiero lo rendeva un anticonformista“.[14]

Ecco questo esprime in modo plastico quello che accade al verificarsi delle crisi istituzionali o delle situazioni di eccezione dove l’establishment, definito efficacemente come “die soziale Schicht in einer Gesellschaft, die sich etabliert hat und gegenwärtig die Macht hat”,[15] non svolge quasi mai la funzione di tutelare la legge fondamentale ma, storicamente, si coagula sempre, sic et simpliciter, con l’apparato esecutivo che la viola, facendo leva sullo stato di eccezione. In questo caso, i professori di legge, colleghi coevi di Giacometti, nel XX secolo, invece di difendere la carta fondamentale come lui, in qualche modo, lo isolano ed in questa sua originalità è il valore aggiunto della sua figura storica: lui aveva messo in guardia dal paradosso della rivoluzione giuridica dove il tradimento spontaneo ed incruento della norma fondamentale avviene, inesorabilmente, proprio da parte di coloro (giuristi, magistrati, professori di diritto costituzionale) che l’avrebbero dovuta difendere. Per questo Giacometti afferma che il concetto che la libertà individuale viene prima dello Stato e che lo Stato ha la funzione di difensore di questa libertà ma non della gestione della stessa. Lo Stato deve difendere la libertà come valore supremo non gestirla mai.

Ma proprio lo Stato è il più formidabile nemico della stessa libertà ed il conflitto d’interesse si manifesta in questa azione liberticida che si verifica, nella sua massima estensione, nei periodi di stato di eccezione. A tal fine, il rimedio di Giacometti è, in qualche modo, tradizionale: in quanto si basa su una radicale divisione dei poteri e sulla ferma opposizione agli sconfinamenti dell’esecutivo. La sua idea originale di un progetto costituzionale di una corte costituzionale svizzera che difenda questa libertà individuale, proprio dagli interventi dello Stato, non ha trovato però adeguata attuazione[16]. E’ poi da rilevare che l’unico lavoro dogmatico degli anni 40 sul diritto pubblico dei Cantoni lo pubblicò proprio Giacometti[17]. Il giurista aveva, quindi, dettagliatamente analizzato la malattia dello stato di eccezione e ne aveva delineato anche le cure necessarie che dovevano partire dalla difesa della norma fondamentale ad oltranza, contro gli sconfinamenti degli esecutivi.

Quella di Zaccaria Giacometti è una lezione da approfondire che oggi ripresenta a tutti noi una via da percorrere e una dottrina giuridica da analizzare, per affrontare i nuovi stati di eccezione in corso e quelli futuri.


([1]) Dizionari Simone on line; voce “rivoluzione giuridica”.

[2] : https://altreconomia.it/il-controllo-finanziario-del-pianeta-in-poche-mani/

[3] Funding | European Medicines Agency (europa.eu)

[4] Trump’s Call To Suspend U.S. Funds For WHO: How Would It Affect Efforts To Fight The Coronavirus? : Goats and Soda : NPR

[5] Fonte grafico a torta: WHO | Programme Budget Web Portal

[6] Lo Sherman Act è codificato in15 U.S.C. §§ 1-38:

[7]

Digesta, XLVIII, 12 ( Mommsen & Krueger, Berlin, 1954 ).

1[Marcianus]. Constitit inter servum et dominum iudicium, si annonam publicam fraudasse dicat dominum.
2 [Ulpianus], pr. Lege Iulia de annona poena statuitur adversus eum, qui contra annonam fecerit societatemve coierit, quo annona carior fiat. 1.Eadem lege continetur, ne quis navem nautamve retineat aut dolo malo faciat, quo magis detineatur: 2.Et poena viginti aureorum statuitur.

[8] La comunicazione della modifica della legge del 2001 è riportata in questo collegamento ipertestuale:

BBl 2002 2022 – Botschaft über die Änderung des Kartellgesetzes (admin.ch)

[9]  Zaccaria Giacometti:Allgemeine Lehren des rechtsstaatlichen Verwaltungsrechts, Zürich 1960, S. 286.

[10] Zaccaria Giacometti – Staatsrechtslehre als Kunst? Prof. Dr. rer. publ. Andreas Kley (Zürich) in SJZ 107 (2011) Nr. 19 429.

[11] Andreas Kley: Geschichte des Öffentlichen Rechts in der Schweiz, Zürich/St. Gallen 2011. S. 119 ff

[12] Zaccaria Giacometti: Die Gegenwärtige Verfassungslage. In:Schweizerische Hochschulzeitung1942, S. 139–154, S. 144

[13] Zaccaria Giacometti – Wikipedia

[14] https://www.news.uzh.ch/de/articles/2014/mit-einer-rose-im-knopfloch.html

[15] Traduzione: “la classe sociale di una società che si è affermata e che attualmente detiene il potere”

[16] Andreas Kley, Zaccaria Giacometti (1893-1970). Un giurista bregagliotto, difensore incrollabile della libertà e della Costituzione, Casagrande, 2020

[17]  https://youtu.be/h_zoSSvxUVA intervento del Prof. dott. Michele Luminati Università di Lucerna su Zaccaria Giacometti

Lascia un commento