Neutralità o NATO? Svizzera al bivio.

La Commissione Sicurezza nominata dalla Confederazione Svizzera e presieduta da un consigliere federale, nell’agosto 2024, ha pubblicato il suo rapporto sulla politica di sicurezza nazionale a firma della signora Katja Gentinetta.

Vengono affrontati esplicitamente si precisa: “la politica di difesa, la costruzione militare della pace e la diplomazia, il controllo delle catastrofi, l’approvvigionamento economico nazionale e le misure di sicurezza interna che derivano dalle conseguenze della mutata situazione di sicurezza”.

Secondo il rapporto, la situazione globale è caratterizzata da tre sviluppi principali: sfida alla superiorità politica, economica e militare degli Stati Uniti; il conflitto tra autocrazie e democrazie; una nuova autorappresentazione delle potenzialità di ciascuno Stato nel contesto globale.

Secondo lo stesso rapporto, è ampiamente indiscusso che nel prossimo futuro sia prevedibile un disordine mondiale perchè il sistema di sicurezza collettivo è danneggiato.

Ne risentono l’ordine post bellico in Europa e quindi, anche la sicurezza della Svizzera.

In sostanza, è chiaro che la sistemazione globale post coloniale del mondo, disposta dai vincitori della seconda guerra mondiale, è in corso d’implosione.

Il conflitto Russo-Ucraino, la situazione Balcanica Occidentale, il conflitto Medio-Orientale, la nuova colonizzazione in Africa, l’espansione dell’area d’influenza Cinese, hanno messo a nudo la crisi del disegno di dominio globale statunitense, ribaltando il quadro successivamente delineatosi dopo il crollo dell’Unione Sovietica del 1989.

Il rapporto si palesa purtroppo disorientato verso l’approccio statunitense alla sicurezza, rivelandosi estremamente orientato non alla tutela della sicurezza della Svizzera ma, a noi pare, di quella statunitense.

Tanto e vero, che si danno per scontati dei fatti che non lo sono, ovvero si scrive che dovrebbe essere mantenuto un ordine basato su regole in cui il diritto internazionale venga applicato e regolamentato, con punizione dei trasgressori, altrimenti, si scrive nel rapporto, l’ordine è rotto e l’Europa, dice il rapporto, minacciata dalla Russia.

Il rapporto parla, a tale proposito, di: “obiettivi territoriali dell’Occidente” da raggiungere, palesando un evidente miope prospettiva neocoloniale e di espansione militare che vedrebbe nell’azione militare Russa o Cinese una violazione delle regole, mentre non analizza minimamente le violazioni degli Stati Uniti; in Europa avvenute con il bombardamento unilaterale della NATO sulla Serbia senza mandato UN, o in Afghanistan, o in Iraq, o in Siria, o in Libano, o nello Yemen, o l’occupazione delle isole Ciagos nel pacifico, con espulsione delle popolazioni locali, o il mancato totale rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite, da parte di Israele e degli Stati Uniti con il genocidio del popolo palestinese o la militarizzazione attuale dell’intera Europa, quale conseguenza diretta di una espansione delle NATO a est, parsa inarrestabile dal 1989 fino allo scoppio del conflitto Ucraino; infine, del palese mancato rispetto degli accordi di Minsk da parte delle potenze occidentali.

La totale mancanza di analisi di queste fondamentali componenti rende il rapporto un esercizio accademico, al servizio di una politica statunitense e non certo Svizzera, non è dato conoscere come mai il suddetto documento risulti così sbilanciato, se non per il motivo di tentare di spingere la Svizzera nella NATO, un’organizzazione resasi colpevole di arbitrarie azioni militari in Europa, nell’Africa e nel Medio Oriente, del tutto al di fuori dell’architettura di sicurezza prevista dalle Nazioni Unite e quindi, contrastante con la Costituzione Svizzera e la democrazia da essa tutelata.

Il rapporto vede nella NATO una sorta di parapioggia idoneo proteggere la Svizzera dalla Pioggia di una frammentazione globale.

Certamente, adottare una posizione militare a favore del contendente, evidentemente perdente allo stato attuale, non appare la scelta migliore per un paese che invece può ancora, seppure limitatamente, contare su una politica istituzionale di neutralità che lo pone in una posizione di mediatore e non di parte.

L’adesione o la collaborazione della Svizzera con la NATO viene vista come strumento per gestire al meglio la cosiddetta guerra ibrida in corso, fatta di disinformazione, sanzioni, spionaggio, hacking etc.

Tuttavia, questi attacchi non si vede come siano sventabili appoggiandosi alla principale organizzazione artefice di simili medesimi comportamenti ed anzi, consegnarsi alla NATO significa, a parere dello scrivente, cedere interamente la sovranità e la democrazia ad una organizzazione militare non elettiva e, quindi, priva totalmente di carattere democratico.

Un riallineamento della neutralità Svizzera, secondo il rapporto, dovrebbe partire da un riallineamento della politica delle sanzioni e da una cooperazione rafforzata in materia di politica di sicurezza e difesa: tuttavia, la proposta non tiene conto adeguato del fatto che proprio dalla NATO, storicamente, sono derivate le maggiori minacce alla sovranità e sicurezza Svizzera e globale, essendo la stessa un’organizzazione orientata alla tutela della sicurezza degli Stati Uniti e non dei paesi aderenti.

Il rapporto afferma che i punti fermi dell’architettura di sicurezza dovrebbero essere la NATO e la UE ma tale visione appare del tutto superata, laddove queste organizzazioni hanno palesato e palesano una crisi irreversibile dal punto di vista economico, politico, industriale, finanziario e, infatti, a conferma della perdita di terreno in tal senso, tentano di spostare sul piano del conflitto militare e della produzione di armi, la vertiginosa perdita di consenso politico che li travolge.

L’altro assunto del rapporto che poggia la sicurezza internazionale sul cd. peacebuilding militare, è totalmente inverosimile e sconfessato dal fallimento totale di tutte le missioni, in tal senso, operate dalla NATO e dalle stesse Nazioni Unite: il ritiro rovinoso dall’Afghanistan della NATO, dopo 20 anni di distruzioni operate unilateralmente senza pietà nel paese e inutili contro il terrorismo, la situazione in Medio Oriente, la stessa devastante azione nei Balcani, in Libia, in Siria, tutte aree risultate non certo pacificate o assicurate dalla politica militare NATO ma lasciate profondamente deteriorate dopo il suo intervento militare.

La pace non si assicura con le armi come gli incendi non si spengono con la benzina.

Se la Commissione raccomanda a larga maggioranza che la cooperazione con la NATO vada oltre la cooperazione precedente (pag.10) e auspica una “capacita di difesa condivisa” ciò appare come non conforme agli interessi della Svizzera, giacchè la trasforma da mediatore a parte del conflitto.

Se si diventa parte del conflitto si diventa anche obiettivo dei contendenti, con un crollo della propria sicurezza e non un aumento della stessa.

La stessa incapacità degli scudi missilistici occidentali a garantire una difesa efficace (dimostrata, da ultimo, con il bombardamento di Israele ad opera dell’Iran) esclude anche che l’adesione alla squadra di uno dei contendenti, sia meglio che rimanere totalmente neutrali e poter così invece svolgere un ruolo effettivo di primo piano nella mediazione delle controversie internazionali, senza diventare una sorta di ultima ruota del carro di uno dei contendenti.

La neutralità potenziata della Svizzera è un asset da gestire oggi mentre l’adesione a organizzazioni di parte è solo una rinuncia ad avere un ruolo autonomo nelle controversie in corso ed in via di sviluppo e un rassegnarsi alla totale, asservita dipendenza politica, economica, militare e sociale da uno dei contendenti.

Vi sono poi evidenti contraddizioni nel rapporto, laddove si raccomanda lo sviluppo di una maggiore politica di controllo degli armamenti, suggerendo però di aderire ad una maggiore cooperazione con una organizzazione militare che obbliga i suoi membri, per statuto, ad aumentare le proprie spese militari(!).

Il rapporto parla di spese militari per la Svizzera auspicabili all’1% nel 2030 e poi suggerisce una cooperazione con la NATO che invece ha previsto almeno il 2% per i suoi aderenti: tutto ciò appare incredibile e contraddittorio!

Preoccupanti appaiono le “Raccomandazioni su ulteriori strumenti di politica e sicurezza” contenute nel rapporto: suggerendo “l’espulsione delle spie straniere” “che i media sovvenzionati e autorizzati dalla Confederazione nell’ambito del finanziamento della stampa siano OBBLIGATI in modo adeguato a prendere precauzioni contro le campagne di disinformazione e d’influenza”.

Tali prescrizioni palesano una violazione delle più comuni ed elementari regole di libertà di manifestazione del pensiero e l’auspicata creazione di un sistema di censura generalizzato dove non si capisce chi (il Governo federale? quello Cantonale?) dovrebbe decidere cosa si può scrivere e dire e cosa no e non la coscienza dei cittadini.

Il tutto con una involuzione totalmente antidemocratica dove con le armi della censura si vorrebbe tutelare la libertà, così come con le armi da fuoco e le campagne militari si vorrebbe tutelare la pace.

La commissione raccomanda “l’accesso ai programmi di armamento dell’UE e della NATO” quindi, un aggravio dispese militari di fatto insostenibile per le finanze della Svizzera che per garantirlo dovrebbe rinunciare a tutto il suo welfare a favore della produzione e acquisto di armi?

In via ulteriormente contraddittoria, la Commissione parla di una potenziale crisi di approvvigionamento energetico ma auspica la riduzione delle energie fossili a favore di contratti bilaterali con la UE che di fatto espongono la Svizzera ad una dipendenza ancora più massiccia nel settore.

Che fare dunque?

Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, dice un proverbio poco politicamente corretto e non si può avere neutralità scegliendo un contendente, perciò la Svizzera non può aderire alle sanzioni contro chicchessia e ad una consorteria bellica e poi, predicare la permanenza della sua neutralità, a pena di perdere credibilità internazionale.

Con le ultime conferenze di pace sull’Ucraina, tenutesi nella Svizzera interna, si è evidenziato il fallimento totale di questa impostazione, laddove hanno partecipato solo i paesi aderenti a uno dei contendenti, con il rifiuto degli altri di riconoscere alcuna affidabilità a chi professa una scelta e poi palesa una mancante terzietà di fatto.

La neutralità come strumento, per essere efficace, deve avere una credibilità internazionale che oggi la scelta di campo già effettuata dalla Svizzera, con le sanzioni e con il congelamento dei beni russi e l’auspicata adesione alla cooperazione militare rafforzata con la NATO e la UE, rendono inesistente.

Laddove si parla di allinearsi alle Nazioni Unite non si può aderire o cooperare in modo rafforzato con chi le regole delle Nazioni Unite le interpreti in usum Serenissimi Delphini in un sistema globale in cui al posto di Luigi XIV vi siano non la Svizzera ma gli Stati Uniti d’America unici arbitri della NATO.

La neutralità vera, quella Svizzera della seconda guera mondiale, per intenderci, resta invece l’ultimo baluardo luminoso in un’Europa nascosta dalle tenebre e incatenata dall’idolatria del denaro.

Si discuterà con ogni partito, persona ed ente che vorrà intervenire: si parlerà del nostro futuro a Lugano il 7 novembre 2024 presso la sala dell’Hotel Pestalozzi alle 20.

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