Recuperare la Sovranità per risvegliare la coscienza del popolo Sardo.

Discorso tenuto a Cagliari il 16 novembre 2024 in piazza Garibaldi dall’avv. Francesco Scifo vicepresidente ALU ad una pubblica manifestazione sulle nuove servitù di elettrodotto imposte ai Sardi dall’Italia.

Eccomi qua, buonasera a tutti. Siamo pochi intimi ma a noi piace essere in pochi

perché così possiamo chiacchierare un po’ meglio. Allora oggi io sono venuto a

parlarvi anche di quello che, a mio parere, è l’argomento principale e

cioè della sovranità della Sardegna.

Oggi noi ci rendiamo conto che questa situazione delle pale eoliche ci dimostra, ancora una

volta, che la Sardegna non ha alcuna sovranità sul suo territorio, che non ha la capacità

di far valere quelli che sono i suoi diritti, che pure sono scritti su norme di legge che

hanno un rango anche costituzionale, come lo statuto sardo. In sostanza, ancora una

volta, ci rendiamo conto e oggi vediamo che, tutto sommato, siamo in pochi a rendercene

conto, che questa situazione va cambiata. Secondo me andrebbe cambiata nel senso

che si dovrebbe fare un’alfabetizzazione della popolazione su quelli che sono i diritti e i

doveri di ciascuno di noi.

Tra i doveri forse c’è quello di informarsi e io credo che non si possa che constatare che

da anni assistiamo invece a una totale disinformazione, addirittura indifferenza, verso

quelle che sono poi le cose che ogni persona che vive in una comunità deve fare, cioè

quelli che sono i suoi diritti, ma anche quelli che sono i suoi doveri. Noi sappiamo che

questo vale per le persone ma vale anche per chi ci governa. In un’occasione come oggi

quello che io penso sia utile sia mettere al centro dell’attenzione è che cosa possiamo fare,

quali diritti noi abbiamo per contrastare questa situazione che prevarica

la nostra posizione.

Poco fa ho sentito altri relatori che ci parlavano dei palestinesi, altri che ci parlavano

degli indiani d’America. Per quanto questi paragoni possano essere inusuali, eppure io

credo che in questa occasione sia da sottolineare che erano dei paragoni fondati. Perché

sono fondati? Perché questi popoli sono come noi, abbiamo visto quello che

hanno fatto i palestinesi in modo più o meno lecito, non è stato certo un atto lecito quello che hanno fatto il 7 ottobre, ma è anche stato un atto con il quale loro si sono, in qualche modo, messi a

combattere per quelli che ritenevano i loro diritti.

Io ricordo Yasser Arafat che, quando alle Nazioni Unite fece un grande discorso, disse chi

lotta per la sua patria non può essere mai un terrorista.

Ora è chiaro che ci sono metodi e metodi per lottare per la propria patria, però su una cosa possiamo essere tutti d’accordo, che tutti noi dobbiamo lottare, perché altrimenti ci troveremo senza patria.

E allora io vorrei dirvi che noi siamo avvantaggiati rispetto a queste popolazioni che sono state citate, appunto, come dicevo, oltre i palestinesi gli indiani d’America.

E per gli indiani d’America, di recente, c’è stata una grande lotta della popolazione Osange

contro le pale eoliche.

Ecco questi indiani che avevano visto il loro territorio devastato dalle pale eoliche costruite dall’Enel, sì non sto scherzando, in America l’Enel aveva costruito le pale eoliche nel terreno degli Osange, ebbene hanno ottenuto una sentenza dalla Corte Suprema Americana che gli ha dato ragione e che ha ordinato all’Enel di smantellare queste pale eoliche. Eppure gli Osange non avevano uno statuto come ce

l’abbiamo noi, una legge di livello costituzionale, non ce l’avevano, però sono riusciti,

ribellandosi con gli strumenti giuridici, a ottenere una decisione della Corte Suprema,

l’organismo più importante degli Stati Uniti.

E la stessa cosa è successo alle popolazioni indigene della Norvegia, i Sami, anche loro si sono

ribellate contro le pale eoliche nel mare del nord, nei loro territori, e hanno vinto, anche

loro.

Ora, sono precedenti giuridici rilevanti questi qua, c’è stata una sentenza della Corte Suprema

Norvegese che gli ha dato ragione e ha ordinato lo smantellamento di questi strumenti di

cui stiamo parlando. Io credo che noi dovremmo fare, come ho detto all’inizio, un grosso

lavoro di alfabetizzazione, spiegare e insegnare lo statuto ai nostri ragazzi, e insegnargli

la lingua sarda soprattutto.

Perché? Perché la principale ragione per la quale noi ci troviamo in questa situazione

quella che si dice «chentu concas, chentu berritas» deriva dal fatto che è stata distrutta

la nostra lingua. E quindi, io penso che qualsiasi rinascimento non può che venire dal

potenziamento di quelle che sono le nostre conoscenze della nostra lingua, della nostra

lingua madre. E perciò, io suggerisco questo, suggerisco che si ami di più il sardo, perché

il sardo darebbe la coesione necessaria alla popolazione.

Malta, per esempio, nel 99, 1999, ha fatto riconoscere il maltese, il maltese, badate

bene, come lingua ufficiale. E quella è un’isola, uno Stato che prima parlava inglese.

Quindi, noi stiamo parlando della lingua che dovrebbe essere quella che serve, quella che

tutti dicono «devi imparare l’inglese», no? Allora hanno detto «sì, sì, va bene, però la

nostra lingua ufficiale è il maltese». Poi l’inglese la utilizzeremo per parlare con gli altri

popoli, per poter avere, diciamo, una certa capacità di trattare le nostre relazioni

commerciali, ma la nostra lingua ufficiale è il maltese. Ecco, ora io non capisco perché in

Sardegna non si possa fare la stessa cosa.

Cioè, perché la Sardegna non può dire «la mia lingua è il sardo», il sardo in tutte le sue

varianti, logudorese al nord, il campidanese al sud, e ogni paese deve parlare il suo

sardo come lingua ufficiale. Poi l’italiano o l’inglese saranno le lingue che utilizzeremo,

così come i maltesi usano l’inglese. Questo deve essere l’obiettivo di qualsiasi partito che

si chiama sardo o che ha a cuore gli interessi della Sardegna.

E ve ne voglio dire anche un’altra. Io per tanti anni mi sono occupato, per esempio, di

Zona Franca. Anche quello sarebbe uno strumento che noi abbiamo nel nostro arco,

perché è nello statuto, perché l’Unione Europea ce la riconosce.

Ma la nostra politica, così come ha fatto con le 210.000 firme della legge Prato-Bello, ha

fatto con le leggi che riconoscono la Zona Franca. Va bene, niente di diverso. Quindi noi

abbiamo queste leggi, abbiamo il decreto legislativo 75-98 che ci riconosce la Zona

Franca.

Abbiamo addirittura la ZES unica, quella che riguarda tutto il sud, che in Sardegna è

particolarmente importante, perché dentro quella ZES noi potevamo farci la Zona Franca

e soprattutto perché la Zona Franca extradoganale poteva essere estesa tutta l’isola. Ma la nostra

politica non l’ha voluta, perché esattamente come ha fatto con le 210.000 firme le ha

prese e le ha buttate nel cestino, queste leggi. E ve ne dico un’altra.

C’è un decreto legislativo 363 del 1999, 1999-1999, il quale prevede che quando l’Italia

debba partecipare a dei trattati internazionali, debba, ad esempio, stipulare il Trattato di Lisbona,

quello che ha previsto l’Unione Europea, avrebbe dovuto consultare prima il presidente della

regione Sardegna o il suo delegato. Ma non lo ha fatto. Quindi, che cosa potrebbe

pretendere ogni sardo? Potrebbe pretendere che tutti questi accordi vengano in qualche

modo messi in discussione, perché sono stati fatti senza consultare il presidente della

regione, che poi lui non l’abbia fatto, non abbia voluto essere consultato a noi non interessa, lui era lì perché rappresentava la sua nazione sarda e non c’è andato, non l’ha chiesto. Ma questo non vuol dire che i sardi non lo possano chiedere. E guardate, quanti di voi conoscono la legge 363 del 1999 che prevedeva questo e che renderebbe in qualche modo inefficaci persino gli accordi per l’Unione Europea in Sardegna?

Voi questo non lo sapete, però ve lo dico stasera, perché mi piace parlarne nel momento

in cui tutti hanno parlato di che cosa si potrebbe fare. Ecco, si potrebbe far valere queste

cose. Si potrebbe pretendere che si rimettano in discussione tutti quegli accordi che ci

hanno emarginato dalle decisioni.

Perché noi gli strumenti li abbiamo, ci manca la volontà. E, per questo, io vi dico, questa

volontà come la possiamo avere? Ecco, la possiamo avere potenziando quegli strumenti

di coesione che in tutti i paesi permettono di rendere i popoli e le nazioni efficaci nella

tutela dei loro diritti. Quindi io quello che auspico è che sia, in qualche modo, amato molto

di più il sardo come strumento di coesione per farci sentire tutti parte di un’unica

comunità e che si facciano valere queste norme.

Cioè si faccia innanzitutto una grande operazione culturale nella quale si va a spiegare a

ciascuna persona quelli che sono i nostri diritti e i nostri doveri. E fra i nostri doveri gli si

spieghi che deve imparare e usare queste norme. Grazie.

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