La Corte suprema italiana a Sezioni Unite infrange i principi cardine del diritto penale italiano e quelli sanciti nei trattati europei.

Libero commento a Cass. S.U. 27515/25 su epidemia colposa omissiva: viola i principi di legalità, tassatività, determinatezza e divieto analogia in malam partem in materia penale.

La questione incisa dalla sentenza di seguito esaminata tocca i principi fondamentali del diritto penale, in particolare il principio di legalità, tassatività, determinatezza e il divieto di analogia in malam partem.

Analizziamo la questione in modo critico e strutturato, considerando la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 27515/2025 e il contesto normativo e interpretativo.

1. La sentenza delle Sezioni Unite n. 27515/2025 –

La sentenza in questione, depositata il 28 luglio 2025, ha stabilito che il delitto di epidemia colposa (artt. 438 e 452 c.p.) può essere integrato anche attraverso una condotta omissiva, superando un orientamento giurisprudenziale precedente che considerava il reato come a forma vincolata, cioè realizzabile solo attraverso un’azione positiva di diffusione di germi patogeni. La Corte ha interpretato l’art. 438 c.p. come una fattispecie causalmente orientata a forma libera, applicabile quindi anche in caso di omissione, purché sussistano i presupposti dell’art. 40, co. 2, c.p. (obbligo giuridico di impedire l’evento e nesso causale tra omissione ed epidemia). Questa interpretazione è nata da un caso concreto relativo a un dirigente sanitario accusato di non aver adottato misure di prevenzione (es. DPI e formazione) durante l’emergenza Covid-19, causando un focolaio in un ospedale. La Corte ha ritenuto che il “lasciar diffondere” possa essere equiparato alla “diffusione” attiva, applicando la clausola di equivalenza dell’art. 40, co. 2, c.p.

2. Il principio di tassatività e determinatezza.

Il principio di tassatività e determinatezza, sancito dall’art. 25, co. 2, Cost. e dall’art. 1 c.p., richiede che le norme penali siano formulate in modo chiaro e preciso, in modo che il destinatario possa comprendere quali condotte siano penalmente rilevanti. Questo principio è a tutela della libertà individuale, evitando che interpretazioni estensive o vaghe possano ampliare arbitrariamente la portata delle fattispecie penali. Nel caso del delitto di epidemia, l’art. 438 c.p. prevede che il reato si configuri “cagionando un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni”. La formulazione sembra suggerire una condotta attiva (“diffusione”), il che ha portato parte della giurisprudenza precedente a escludere la configurabilità in forma omissiva, considerando il reato a forma vincolata. La nuova interpretazione delle Sezioni Unite, invece, amplia la portata della norma, includendo anche condotte omissive, sulla base dell’art. 40, co. 2, c.p., che equipara il non impedire un evento al cagionarlo, se sussiste un obbligo giuridico di agire.

Criticità rispetto alla tassatività:

– Ambiguità interpretativa:

La locuzione “diffusione di germi patogeni” non sembra, nel suo significato letterale, includere esplicitamente l’omissione. Estendere la norma a condotte omissive potrebbe rendere meno prevedibile il confine tra lecito e illecito, soprattutto in contesti complessi come la gestione di emergenze sanitarie. Ciò potrebbe violare il requisito di determinatezza, poiché il cittadino potrebbe non essere in grado di prevedere che una mancata azione (es. non fornire DPI) possa configurare un reato grave come l’epidemia colposa.

– Rischio di vaghezza:

La Corte ha sottolineato che l’omissione deve derivare da un obbligo giuridico specifico (es. norme sulla sicurezza sul lavoro, come l’art. 77, co. 4, D.Lgs. 81/2008). Tuttavia, in assenza di una definizione precisa degli obblighi rilevanti, si potrebbe creare un’incertezza interpretativa, lasciando spazio a valutazioni discrezionali da parte dei giudici.

3. Il divieto di analogia in malam partem.

Il divieto di analogia in malam partem (art. 14 Preleggi e art. 25 Cost.) impedisce di applicare una norma penale a casi non espressamente previsti, se ciò comporta un aggravamento della posizione dell’imputato. L’analogia è vietata perché contrasta con il principio di legalità, che richiede una base normativa chiara per l’incriminazione.

Possibile violazione:

– La nuova interpretazione potrebbe essere vista come un’analogia in malam partem, poiché estende la fattispecie di epidemia colposa a condotte omissive non chiaramente contemplate dal testo dell’art. 438 c.p. La Corte, pur richiamando l’art. 40, co. 2, c.p., sembra aver reinterpretato il concetto di “diffusione” in modo ampio, includendo il “lasciar diffondere”. Questo approccio potrebbe essere percepito come un’estensione analogica, piuttosto che come una mera interpretazione, soprattutto considerando che la giurisprudenza precedente (es. Cass. 9133/2017 e 20416/2021) aveva escluso la forma omissiva, ritenendo il reato a forma vincolata.

Tuttavia, la Corte ha argomentato che non si tratta di un’analogia, ma di un’interpretazione conforme al contesto socio-scientifico moderno, in cui la gestione del rischio sanitario è spesso legata a condotte omissive. Inoltre, ha escluso il fenomeno dell’overruling in malam partem (cambio di interpretazione giurisprudenziale sfavorevole all’imputato), sostenendo che non esisteva un orientamento consolidato delle Sezioni Unite che escludesse la forma omissiva, e quindi l’imputato non poteva fare affidamento su una giurisprudenza stabile.

Contro argomentazioni:

– La Corte potrebbe sostenere che non vi sia analogia, ma una semplice applicazione della clausola di equivalenza dell’art. 40, co. 2, c.p., che è parte integrante del sistema penale italiano e si applica a tutte le fattispecie a forma libera. In quest’ottica, il delitto di epidemia, interpretato come reato causalmente orientato, rientrerebbe tra quelli compatibili con l’omissione.

– La sentenza si basa su un’interpretazione evolutiva, giustificata dal mutato contesto storico (pandemia Covid-19), in cui le omissioni nella gestione del rischio sanitario hanno avuto un impatto significativo. Questo approccio potrebbe essere visto come conforme al principio di ragionevolezza, piuttosto che come un’analogia vietata.

4. Valutazione critica.

La sentenza delle Sezioni Unite rappresenta un’evoluzione interpretativa significativa, motivata dall’esigenza di adattare il diritto penale al contesto delle moderne emergenze sanitarie. Tuttavia, solleva alcune criticità:

– Rischio di responsabilità penale eccessiva: Estendere il delitto di epidemia colposa alle condotte omissive potrebbe comportare un’applicazione troppo ampia, specialmente in contesti in cui gli obblighi giuridici non sono chiaramente definiti. Ad esempio, in ambito sanitario, l’imposizione di responsabilità per omissioni potrebbe scoraggiare i professionisti dal operare in situazioni di emergenza, per timore di conseguenze penali.

– Equilibrio con il principio di legalità: Sebbene la Corte abbia cercato di ancorare l’interpretazione all’art. 40, co. 2, c.p., l’ampia discrezionalità lasciata ai giudici nel determinare quali omissioni integrino il reato potrebbe confliggere con il principio di determinatezza. Ciò è particolarmente problematico in un reato grave come l’epidemia colposa, che prevede pene severe (fino a 12 anni di reclusione, art. 452 c.p.).

– Precedente giurisprudenziale: La Corte ha sostenuto che l’assenza di un orientamento consolidato delle Sezioni Unite escluda un overruling in malam partem. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità (es. Cass. 9133/2017) e di merito aveva prevalentemente negato la forma omissiva, creando un’aspettativa di non punibilità per tali condotte. Cambiare orientamento senza un previo consolidamento potrebbe essere percepito come un’erosione del principio di prevedibilità della norma penale.

5. Conclusione.

La sentenza n. 27515/2025 rappresenta un tentativo di adattare il delitto di epidemia colposa alle sfide contemporanee, riconoscendo l’importanza delle omissioni nella gestione delle crisi sanitarie.

Tuttavia, la preoccupazione circa una possibile violazione dei principi di tassatività, determinatezza e divieto di analogia in malam partem è fondata, in quanto l’interpretazione estensiva della “diffusione” rischia di ampliare la fattispecie penale oltre il suo tenore letterale, creando incertezza sui confini della responsabilità penale. Sebbene la Corte abbia cercato di legittimare la propria posizione richiamando l’art. 40, co. 2, c.p. e il contesto socio-scientifico, l’assenza di una definizione chiara degli obblighi giuridici rilevanti e il superamento di un orientamento giurisprudenziale prevalente potrebbero effettivamente confliggere con il principio di legalità. In sintesi, pur riconoscendo la ratio dell’interpretazione evolutiva, questa sentenza può compromettere la prevedibilità e la determinatezza richieste dal diritto penale, con possibili ricadute sulla certezza del diritto. Sarebbe auspicabile un intervento legislativo per chiarire la portata della norma, evitando che interpretazioni giurisprudenziali troppo ampie erodano i principi fondamentali del nostro ordinamento.

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