Quando l’IA scatenò la guerra più famosa della Storia: il caso di Elena
“Questo racconto non è vero
Non sei salita sulle navi dai bei banchi
E non sei arrivata alla rocca di Troia”
Questi tre versi del poeta Stesicoro (VII-VI sec. a. C.), riferiti ad Elena, la bella moglie di Menelao, re di Sparta, il cui rapimento scatenò secondo Omero la guerra di Troia, potrebbero sembrare a prima vista le farneticazioni di un pazzo. Come avrebbe potuto, agli occhi degli antichi Greci, la principale causa mitologica della guerra più famosa della Storia non esistere? Eppure, Stesicoro non era pazzo, perlomeno non lo era nell’accezione che solitamente diamo a questa parola, e i versi sopra riportati rappresentano uno dei pochissimi frammenti rimasti di una sua opera nota come “Palinodia” (ossia “ricantamento”) di Elena. In essa l’autore riscriveva il mito di Elena, fornendo una giustificazione per il suo comportamento: la vera Elena, infatti, non sarebbe mai stata a Troia e al suo posto ci sarebbe andato un eidolon, un fantasma o un’immagine dotata di vita. La donna più bella del mondo, invece, sarebbe rimasta al sicuro in Egitto.
Alcuni secoli dopo, nel V secolo a. C., ad Atene il grande tragediografo Euripide riprese questo filone letterario nella sua opera intitolata appunto “Elena”, che fortunatamente ci è giunta intera, diversamente dalle altre tragedie che componevano la stessa tetralogia, tra cui l’“Andromeda”. Nemmeno Euripide era pazzo, anche se molti, allora come oggi, non sono riusciti a cogliere il valore “preconizzatore” dei tempi di quest’opera, considerata a torto come una delle meno riuscite fatiche teatrali del grande autore tragico. Egli, dunque, sottolinea come sarebbe stata Era, la dea moglie di Zeus, a creare questo “fantasma con respiro di cielo”, per punire il troiano Paride, reo di non averla scelta come la più bella tra le dee, salvando nel contempo l’onore di Elena, che non avrebbe mai tradito il marito Menelao.
Negli stessi anni, il filosofo sofista Gorgia scriveva l’“Encomio di Elena”, in cui giustificava anch’egli l’azione della ragazza, affermando che essa fosse stata stregata dal potere della retorica o comunque dalla necessità. Tra tutti questi testi, quello di Euripide è senz’altro il più interessante per le implicazioni che comporta anche in chiave contemporanea. L’“Elena”, infatti, è propriamente una “tragicommedia” incentrata sul rapporto tra verità e menzogna e sugli equivoci derivati dall’esistenza di una vera e una falsa Elena. L’opera, rappresentata nel 412 a. C. durante la celebre Guerra del Peloponneso (431-404 a. C.), ai nostri occhi si presenta su più livelli di lettura:
1) Dal punto di vista filosofico vi è appunto il già menzionato rapporto verità-menzogna oltre a delle riflessioni sui danni arrecati dall’eccessiva bellezza di Elena, di cui lei non è ovviamente colpevole ma che scatena il desiderio degli uomini di possederla (in tal senso il suo mito si ricollega a quello dell’Amazzone Pentesilea, che combatté tra l’altro proprio a Troia al servizio di Priamo);
2) Dal punto di vista politico-militare vi si trova il tema che noi moderni chiameremmo dei “casus belli”, ossia dei falsi pretesti che, come Euripide sapeva bene, sfruttati da una delle due parti belligeranti o da entrambe e attribuiti sistematicamente al nemico con prove inesistenti o costruite ad arte, sono alla base di qualsiasi guerra dall’antichità ai giorni nostri;
3) Dal punto di vista bioetico viene trattato, ante litteram, il tema dell’intelligenza artificiale.
A questo proposito appare chiaro, infatti, come la falsa Elena che fu rapita da Priamo, secondo questa versione del mito non sia altro che un’opera di “intelligenza artificiale” (seppur di matrice divina). Ed essa fu sviluppata talmente bene dalla dea Era che riuscì ad ingannare tutti, al punto da spingerli ad uccidersi per qualcosa (anzi, qualcuna) che in realtà non era lì. Non fu facile, infatti, per Menelao, convinto di aver riportato a Sparta la sua vera moglie, rendersi conto di aver avuto a che fare con un’illusione fino all’incontro con l’Elena “reale” in Egitto. Viene da pensare, allora, ai rischi dell’intelligenza artificiale e del “metaverso” che, attraverso l’abile arte dei “programmatori”, ci illudono talvolta di trovarci in una realtà che non esiste o di avere a che fare con “persone” che di fatto null’altro sono se non un insieme di dati. Così essi ci portano spesso a credere ciò che loro stessi o i centri di potere transnazionali che li finanziano vorrebbero che noi credessimo per ragioni di controllo politico-sociale, economico e militare. D’altro canto, bisogna guardarsi anche dal rischio inverso, che è il nichilismo, il quale sfocia nel relativismo e nel materialismo: delle due “Elene”, infatti, una era falsa ma l’altra era vera.
Ma l’“Elena” è degna di nota anche per un altro motivo, assai attuale, legato al contesto in cui fu composta. Nella sconsolata constatazione del servo di Menelao di aver “sofferto così tanto per un’ombra”, è evidente un invito a non lasciarsi illudere da false promesse e dalla propaganda, in particolare quella di guerra: per Euripide, infatti, alimentare le guerre rifiutando la diplomazia non è mai una soluzione per le controversie. Un tale antimilitarismo è fondato anzitutto sulla constatazione che le brame imperialistiche di Atene, dopo quasi 20 anni, la stavano conducendo verso la disfatta nella Guerra del Peloponneso (che effettivamente avverrà nel 404 a. C.), con conseguente perdita del suo impero in favore di Sparta prima e dei Macedoni poi.
Nel testo euripideo la riflessione sulla guerra è centrale. Dopo che un messaggero (lo stesso che fece comprendere a Menelao di trovarsi di fronte alla sua vera moglie in Egitto) aveva riflettuto sul fatto che Troia stessa fosse stata distrutta per niente, il coro aggiungerà, infatti, che:
“È pazzo chi cerca la gloria a suon di lancia nelle battaglie, è un modo rozzo di porre fine ai problemi dell’umanità.
Se le decisioni vengono affidate alla lotta di sangue, la violenza non abbandonerà mai le città degli uomini.
Grazie ad essa alla fine hanno ottenuto solo un posto sotto la terra troiana: eppure si poteva risolvere con le parole la contesa sorta per te, Elena”.
Oltretutto, il tema stesso dell’eidolon si presta bene ad una vastissima serie di comparazioni all’interno e all’esterno della cultura greca, da Omero fino ai moderni androidi, passando attraverso il “Golem” ebraico, Frankenstein e Pinocchio. Alla base di tale creazione vi è la riflessione sulla vita umana e su ciò che la rende possibile e unica: l’unione, in un unico essere vivente, di corpo, anima e spirito.
La cultura greca, fin dai tempi di Omero, per riferirsi a questi concetti ricorreva invece ad una pluralità di termini: sοma e prosopon vengono usati per il corpo e l’immagine esteriore, mentre psyche, thymos, nous, pneuma e hypostasis indicano ciò che va oltre il corpo. Tali elementi immateriali hanno, come è noto, tradizionalmente sede nel cervello per quanto riguarda l’intelligenza e la ragione e nel cuore per i sentimenti e le emozioni. Alla distinzione tra corpo, anima e spirito o semplicemente tra corpo e anima, fa seguito la distinzione, talvolta invertita e assai spesso criticata specialmente in età moderna, tra bios (la vita animale) e zoe (la vita spirituale propria dell’uomo). Va però detto che tali critiche, solitamente mosse in nome del materialismo, dell’ambientalismo o dello scientismo, tendono a confondere le cause con gli effetti. Il cervello, infatti, in quanto strumento (giacché questo significa “organo”), elabora i pensieri in forma intelligibile e trasmissibile ad altri esattamente come il computer elabora un file; l’ispirazione, però, che è la vera causa del pensiero, gli è estranea ed essa varia da persona a persona in quanto si fonda sull’intelligenza, una facoltà propria dell’anima spirituale che trascende la realtà materiale. Ciò è ormai evidente dai moderni sistemi di intelligenza artificiale (ma a ben vedere lo era già dai tempi antichi, allorquando, ad esempio, Cicerone dettava le proprie opere al suo liberto Tirone), se è vero, come è vero, che chi ordina a un programma (quale può essere ChatGPT) di scrivere un testo ne è considerato in ogni caso l’autore. In tal senso Omero ed Esiodo affermavano di cantare delle verità ispirate dalle Muse e il Cristiano può dire che la Bibbia è “Parola di Dio”, pur trascritta materialmente e trasmessa dagli uomini. In ambito storico-politico, invece, giustamente sulla stessa linea Tito Livio poteva affermare che il popolo creò re Anco Marcio, ma i senatori ne furono gli autori.
All’unione di tutti gli elementi sopra menzionati presiede l’armonia, altra parola greca di grande attualità, che significa “connessione”. Questa è, per i Greci, la fonte del bello (kalon), inteso come ciò che chiama a sé e inscindibile dai concetti di verità (aletheia, lett. “ciò che non è nascosto” in quanto oggetto di rivelazione) e bontà (agathia). Laddove essa venga a mancare, infatti, si ha il chaos, il disordine da cui consegue ogni sorta di male fisico, morale e politico-sociale.
Florio Scifo
Bibliografia essenziale
EURIPIDE, Elena, Rizzoli 1997;
STESICORO, Palinodia (fragm.) in Antonio ALONI (a cura di), Lirici greci. Alcmane, Stesicoro, Ibico, Milano, Oscar Mondadori, 1994;
F. SCIFO, Tragedie. Le Amazzoni, 2023;
G. BRAMBILLA (a cura di), Riscoprire la Bioetica. Capire, formarsi, insegnare, Rubbettino Editore, 2020;
P. CHANTRAINE, Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque, Editions Klincksieck 1968;
E, R, DODDS, I Greci e l’Irrazionale, Rizzoli 2009;
B. SNELL, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Einaudi 2002;





Ho letto con grande piacere questo testo creativo che ci immerge nelle dinamiche simboliche dell’umanità sin dall’antichità. Si illustra la spinta a riuscire a distinguere il vero dal falso da una parte e la gestione dell’illusione creata o immaginata, dall’altra. La manipolazione cosciente di tale dilemma attraverso la menzogna e la propaganda per il dominio dei popoli o addirittura dell’essere umano nella sua essenza, sono illustrate con riferimenti mitologici di grande interesse. Grazie.
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