Libertà di culto e pandemia: alcuni aspetti da tenere presenti

Il presente contributo intende riprendere una tematica sulla quale molto è stato scritto negli ultimi mesi da illustri commentatori, primo fra tutti Aldo Maria Valli, al fine di chiarire, speriamo, in modo semplice e accessibile a tutti, alcuni elementi fondamentali per una valutazione obiettiva del tema.

A livello giuridico internazionale, la libertà di culto è tutelata dall’art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. L’articolo è stato in parte recepito e in parte limitato dall’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), secondo il quale “1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. 2. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Proprio il comma 2 dell’art. 9 CEDU, unitamente ad un certo assenso da parte della Santa Sede, ha fatto sì che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non intervenisse d’urgenza contro l’Italia che, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, aveva indiscriminatamente vietato le celebrazioni religiose da marzo a maggio 2020, ovvero nel periodo più importante dell’anno liturgico cristiano, quello pasquale. Il 7 maggio 2020, poi, la Conferenza Episcopale Italiana e lo Stato Italiano, come noto, hanno firmato un protocollo d’intesa per la celebrazione delle messe, tuttora fondamentalmente vigente.

Va però rimarcato che, analogamente a quanto accaduto con i DPCM del Governo Conte, riconosciuti a posteriori come strumenti invalidi per la sospensione delle libertà civili fondamentali, anche un semplice protocollo operativo, per di più recante la firma del Presidente della CEI e non del Segretario di Stato o del Nunzio Apostolico in Italia, non può ritenersi pienamente valido per la regolamentazione delle questioni inerenti al culto. Esso, inoltre, impone a volte per ragioni sanitarie delle norme liturgiche discutibili, come l’obbligo di ricevere la Comunione in mano, fonte di grave turbamento spirituale per molti credenti le cui istanze non dovrebbero essere ignorate con leggerezza. Tanto più che tra l’Italia e la Santa Sede sono già stati firmati nel 1929 e rinnovati nel 1984 i cosiddetti “Patti Lateranensi”, con ben altro valore negoziale, che regolano le relazioni tra questi due Stati “indipendenti e sovrani” (cfr. Art. 7 Costituzione Italiana).

Da questo punto di vista, sono sotto gli occhi di tutti le numerose ingerenze indebite compiute da svariati organi dello Stato Italiano ai danni delle celebrazioni liturgiche prima e dopo il protocollo del 7 maggio. Ricordiamo in particolare le sacrileghe interruzioni a mano armata di celebrazioni non in linea con i dettami del governo (atto che peraltro configura un vero e proprio reato penale ex art. 405 C. P.) e, più di recente, gli improbabili inviti (di fatto accolti) da parte di un Ministro della Repubblica ad anticipare la tradizionale messa di mezzanotte in occasione del Natale per rispettare il coprifuoco. Così come, purtroppo, è altrettanto palese la copertura offerta da talune autorità ecclesiastiche a questi scandali, poi strumentalizzati dai media, che si sono scagliati contro la vittima assolvendo di fatto i colpevoli. Per un certo tempo si è perfino arbitrariamente imposta la chiusura totale dei luoghi di culto, cosa che, oltre al palese danno d’immagine, ha rischiato di provocare un incidente diplomatico interno alla Santa Sede. A tal fine va definitivamente chiarito il fatto che, se è vero che l’uomo, con il suo corpo, è “tempio di Dio”, è altrettanto vero che con ciò non si è mai inteso in alcun modo annullare o svalutare l’importanza del “templum”, il luogo che in tutte le religioni la divinità, etimologicamente parlando, ha voluto “ritagliare” per sé.

Nel valutare la situazione bisogna tener presente che, almeno dal punto di vista di chi è credente, rendere culto a Dio non è “un diritto” ma un dovere, fondato anzitutto sul Terzo Comandamento della Legge data da Dio stesso a Mosè: “Ricordati di santificare le feste” (Es. 20,8). Spetta dunque alle autorità religiose e civili, per quanto possano dirsi “laiche” (ricordando che di per sé “laico” non significa “ostile alla religione” ma piuttosto “non consacrato”), porre la massima cura per garantire con ogni mezzo l’esercizio del culto che, in quanto tale, è sempre atto pubblico. Ciò che, evidentemente, l’anno scorso per tutto il principale periodo dell’anno liturgico non si è fatto.

Tale situazione non riguardava ovviamente solo l’Italia ma quasi tutti i paesi del mondo e numerosi, dopo l’iniziale sconcerto, sono stati gli appelli alla ripresa delle messe “coram populo”. Va evidenziato come questi appelli internazionali, generalmente ignorati dai principali quotidiani, siano partiti non tanto dalle alte gerarchie ecclesiastiche ma piuttosto da giovani laici, che si sono anche offerti di gestire personalmente la sicurezza delle celebrazioni. Theresa von Habsburg, loro prima e principale animatrice, in particolare, per singolare privilegio storico può vantare tra i suoi antenati un “re sacrestano”, famoso per le sue ingerenze nella politica ecclesiastica del tempo, e, più di recente, un Beato: la Storia, evidentemente, insegna ancora qualcosa a chi la sa ascoltare.  

Al contrario, con alcune lodevoli eccezioni soprattutto statunitensi, polacche e ungheresi, è generalmente invalsa la pericolosissima convinzione che il culto non sia da considerarsi attività essenziale e che, anzi, debba soccombere dinanzi ad esigenze puramente materiali come il diritto alla salute fisica.

Eppure, essendo l’uomo costituito di anima e corpo (come riconosciuto da tutti i principali filosofi e psicologi e perfino, seppur indirettamente, dalla controversa dichiarazione di “salute” dell’OMS, che parla di “completo benessere psico-fisico”), la “salus animarum” deve sempre essere garantita insieme, se non prioritariamente, alla salute fisica. Una “salus” che nell’insegnamento della Chiesa si connota principalmente come “salvezza” e che, in quanto “legge suprema” (cfr. Can. 1752 del Codice di Diritto Canonico), è strettamente legata all’amministrazione rituale dei Sacramenti, vero e proprio punto dolente delle celebrazioni in rete.

Prima ancora del Cristianesimo, comunque, l’importanza dei riti e della “salus animarum” era ben chiara ai Greci, tanto da essere alla base di una delle più importanti opere che l’antichità classica ci abbia trasmesso. Stiamo parlando, ovviamente, dell’“Antigone” di Sofocle.

Compromettere o rendere più difficoltosa da conseguire la salute/salvezza delle anime non è solo un atto di “ybris” (superbia) ma anche una palese violazione della dignità e dei diritti umani. Un discorso, quest’ultimo, che non può che applicarsi tanto per le forme di coercizione e persecuzione più evidenti, quanto per quelle più sfumate, fondate sulla paura e la confusione.

Altro punto fondante di qualsiasi discorso relativo alla libertà di culto è il rapporto con la tradizione che, nel caso della Chiesa Cattolica, ha valore magisteriale, ossia di insegnamento perenne e regola immutabile da seguire insieme alla Sacra Scrittura.

Per quanto ci riguarda, da ciò consegue che atti apparentemente insignificanti come l’affermazione dell’equivalenza, per i fedeli non malati o impossibilitati a muoversi, della messa in rete con quella celebrata di persona; l’ anticipazione della messa di mezzanotte o la semplice insinuazione (peraltro falsa) che la data del Natale sarebbe stata una scelta convenzionale, effettuata per sovrapporsi alla festa romana del “Sol Invictus”, si dimostrano in realtà di notevole gravità, in quanto fonte di confusione spirituale e attacco diretto al patrimonio culturale che la Chiesa custodisce.

Ancora più sottile ma pregno di conseguenze negative per la difesa del diritto di culto è stato l’attacco alla verità di fede (specialmente cristiana ma comune a tutte le religioni) secondo cui sarebbe possibile impetrare da Dio l’allontanamento della malattia, considerazione alla base di moltissime tradizioni religiose diffuse in tutto il mondo, tra cui citiamo almeno la processione di Sant’Efisio in Sardegna e la Grande Rogazione che si svolge annualmente nell’Altopiano di Asiago (VI).  

Ne è seguita una diffusa sensazione di caos e vuoto spirituale che si percepisce ancora chiaramente e che sta spingendo molte persone ad affidare imprudentemente tutte le proprie speranze di sopravvivenza a persone e mezzi tecnici che, in quanto sottoposti alla verifica del tempo, non dovrebbero mai essere idolatrati. Si è così creata, tanto a livello religioso quanto a livello civile, una perniciosa dicotomia tra visioni diverse e categorizzazioni forzate all’interno delle stesse società, che certamente non giova alla causa del bene comune, minando in profondità quel concetto di “dignità umana” che è alla base di qualsiasi dialogo civile: si dimentica spesso, infatti, che, come diceva un mio ex professore, “nessuna persona è mai totalmente compresa in qualcuno dei suoi atti”.

L’ultimo aspetto da considerare riguarda i cosiddetti “pronunciamenti ex cathedra [Petri]” del Papa, ovvero dei pronunciamenti solenni e infallibili in materia di fede o morale che hanno valore di regola da seguire per tutti i Cattolici. Ebbene, per quanto autorevole in sé possa essere la figura del Pontefice, i suoi pronunciamenti possono ritenersi “ex cathedra” solo nella misura in cui siano appunto “solenni”, ossia rispettino certe e determinate forme, e “infallibili”, cioè non contraddicano in tutto o in parte la tradizione perenne e immutabile della Chiesa.

Similmente e a maggior ragione dovrebbero essere criticamente vagliati, pur nel rispetto delle legittime autorità, i pronunciamenti delle istituzioni preposte alla valutazione morale di determinati procedimenti scientifici o farmaci. Risulta ben noto, infatti, il legame esistente tra l’industria farmaceutica e l’industria dell’aborto, e la cooperazione, ancorché “remota”, a questo grave male (che per i credenti, essendo assimilabile all’omicidio volontario, è tra i peccati “che gridano vendetta al cospetto di Dio”, e per i non credenti viola comunque l’art. 3 della Dichiarazione Universale del Diritti dell’Uomo), è un tema verso cui, in attesa di un auspicabile “cambio di marcia”, l’obiezione di coscienza dovrebbe essere sempre garantita e rispettosamente accolta[1].  

Florio Scifo


[1] Lo stesso discorso vale per coloro che, per le più svariate ragioni, sono contrari alla sperimentazione sugli animali, come stabilito, in Italia, dalla legge 413/93.

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