Lo scorso 24 giugno il Parlamento Europeo, con risoluzione P9_TA(2021)0314 concernente “Diritti sessuali e riproduttivi nell’UE nel quadro della salute delle donne”, nonostante le proteste che da più parti si sono levate, ha approvato a larga maggioranza il cosiddetto “Matić Report”.
Fin dal preambolo questa risoluzione si presenta di estrema gravità, fondandosi su documenti quali il rapporto su “Educazione sessuale in Europa ed Asia Centrale: Stato dell’Arte e Recenti Sviluppi”, stilato dalla multinazionale abortista International Planned Parenthood Federation (European Network); la Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sulla Popolazione e lo Sviluppo (ICPD, durante la quale l’allora “first lady” Hillary Clinton propose di dichiarare l’aborto “un diritto umano”); l’Agenda 2030 dell’ONU sullo “sviluppo sostenibile” etc.
Ricordiamo senza troppi giri di parole che l’aborto, che questa risoluzione intenderebbe far passare proprio come un diritto umano, viola invece indiscutibilmente il diritto alla vita (anzitutto del concepito, che è sempre persona). Inoltre il concetto di “salute riproduttiva” unito alle “politiche di genere” e all’aborto ignora totalmente, oltre ai diritti del bambino concepito, anche quelli del padre: entrambe queste figure, come da prassi consolidata nella legislazione e nelle risoluzioni di tal genere, non trovano alcuno spazio nel testo.
L’attacco diretto all’obiezione di coscienza, che, a detta del proponente P. F. Matić, sarebbe di ostacolo al libero accesso all’aborto, è del tutto inaccettabile, in quanto pesantemente lesivo dell’inviolabile libertà di pensiero. Allo stesso modo deve essere rigettata l’aperta ostilità della Risoluzione verso la legislazione in difesa del diritto alla vita recentemente adottata in Polonia (esplicitamente citata nel testo approvato), Ungheria e a Malta, così come il favore eccessivo attribuito alle pratiche contraccettive. Esse, infatti, inducono notoriamente verso una concezione ludica e deresponsabilizzante dell’atto sessuale (il cui fine è la generazione di una nuova vita), aprendo la strada all’aborto considerato come soluzione più facile per liberarsi eventualmente di una gravidanza “indesiderata”.
Ancora, va confutata una volta per tutte l’idea, contenuta nel documento, che la depenalizzazione dell’aborto ponga un freno alla piaga degli aborti “clandestini”, dal momento che questa affermazione è a conti fatti falsa e, come diceva il Prof. Mario Palmaro, un atto intrinsecamente immorale come l’aborto è sempre “clandestino”, cioè in contrasto con la legge morale naturale su cui anche le leggi statali dovrebbero fondarsi (cfr. per non tornare indietro fino ai giuristi romani, quanto affermato al Processo di Norimberga contro i nazisti, condannati per crimini contro l’umanità preesistenti alle loro stesse leggi, che essi affermavano di aver eseguito, ed i principi su cui si basa la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo).
Inoltre, dal momento che la Risoluzione, tra l’altro, enfatizza la necessità di compiere ulteriori sforzi da parte degli Stati Membri per garantire l’accesso alla vaccinazione di massa contro il COVID-19 e l’HPV (il cui vaccino, per la cronaca, è stato sviluppato facendo uso della linea cellulare tumorale umana HeLa: un procedimento certamente non immorale come nel caso dei vaccini anti COVID-19 ma, a quanto pare, originatosi senza il consenso dell’interessata Henrietta Lacks), vi è il fondato sospetto che, come abbiamo affermato altrove, la spinta verso una sempre maggiore legalizzazione dell’aborto sia anche funzionale ad un utilizzo più o meno legale dei tessuti fetali nell’industria farmaceutica.
Sulla stessa lunghezza d’onda nello “sdoganamento” dell’aborto si pone la “Risoluzione Nairobi”, approvata sempre il 24 giugno con una maggioranza ancora più ampia per commemorare i 25 anni dell’iniqua Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo (ICPD).
Per tutte queste ragioni, come Associazione internazionale per la tutela dei diritti umani, non possiamo che esprimere la nostra più totale contrarietà verso le Risoluzioni “Matić” e “Nairobi” e verso l’ideologia che ad esse palesemente si ricollega.
Florio Scifo