Intervento di Florio Scifo all’evento “Homo Pandemicus, quo vadis? Atto III”

Mi fa piacere essere qui per offrire il mio piccolo contributo in questo momento così importante per la storia della Svizzera e dell’Europa intera. Vorrei cominciare questo breve intervento con un esempio, tratto dalla storia antica. Alla metà del III secolo, infatti, durante il regno dell’imperatore romano Decio, si colloca una delle più feroci persecuzioni anticristiane che ci siano state tramandate e che ebbe particolare risalto nelle provincie romane dell’Africa.

Messi alle strette dall’editto imperiale che imponeva di sacrificare agli idoli per la salvezza dell’impero, ricevendone in cambio un certificato, i cristiani dell’epoca, come ci tramanda San Cipriano di Cartagine nel de Lapsis, reagirono in diversi modi. Molti, i cosiddetti sacrificati, si prestarono a compiere i riti pagani, abiurando così la propria fede; altri, definiti thurificati, si limitarono ad offrire dell’incenso, partecipando comunque, seppur in misura minore, allo svolgimento di tali riti; altri ancora, noti come libellatici, ricorsero a stratagemmi per farsi consegnare comunque i certificati, senza compiere alcun sacrificio. Tutti questi erano i lapsi, quelli che sono caduti, sebbene le responsabilità, come avviene ancora oggi nel nostro contesto, fossero comunque diverse a seconda dei singoli casi. Vi furono infine coloro che, non cedendo ai compromessi, subirono condanne e perfino la pena capitale, venendo rispettivamente ricordati come confessores nel primo caso e come martyres nel secondo. Fu proprio grazie alla loro tenacia se la persecuzione cessò.

Occorre dunque valutare sempre con attenzione dove stia la verità, per ridurre al minimo indispensabile, quando non è possibile eliminare del tutto, i compromessi con ciò che sappiamo essere male. Teniamo, infatti, presente che ogni compromesso, diversamente da quanto affermava Niccolò Machiavelli, è sempre sbagliato perché apre la porta alla consuetudine.

Ed è proprio la consuetudine, o meglio l’abitudine, ciò a cui puntano i manovratori di questa situazione: abitudine a vivere, anzi a sopravvivere, in perenne emergenza; abitudine a sottoporsi, essendo sani e per ricatto, a trattamenti sanitari di dubbia efficacia; abitudine a mostrare a chiunque i propri dati sanitari e, infine, abitudine a vedere una larga parte dell’umanità esclusa dalla società per le proprie idee. Una consuetudine ratificata diviene poi legge e costituisce il primo e più importante pilastro di qualsiasi totalitarismo.

Questi che ho appena elencato sono i dogmi della nuova religione sanitaria dell’homo pandemicus, che permea la nostra società già spiritualmente confusa. Essa, impregnata di tendenze massoniche e New Age, tende a vedere, come sappiamo, da un lato, l’uomo stesso come un pericoloso virus da combattere e, dall’altro, la scienza, nella sua nuova veste ideologica fondata sulla vaccinazione contro il coronavirus ed il Green Pass, come nuovo idolo a cui offrire sacrifici.

Il 28 novembre, però, ci sarà con il referendum una nuova possibilità di contribuire a cambiare le cose, un’occasione concreta che deve essere sfruttata. Se ancora una volta non lo si farà, se non si porrà alcun argine alla deriva diabolica e antiumana in atto e al sistematico abbattimento delle radici su cui questo paese in particolare si fonda, così ben rappresentate dai qui presenti Trychler e dall’Inno svizzero che in svariate occasioni è stato intonato, la valanga che si è formata tra Davos e Ginevra presto o tardi rischierà di travolgere tutti.

Vorrei infine invitare ciascuno dei presenti a non lasciarsi prendere dall’odio, dai giudizi temerari e dalle proprie paure, facendo sì che tutte queste cose offuschino la ragione e sovrastino il rispetto umano. Infatti, come insegna anche la vicenda di Decio, che fu il primo imperatore romano a morire in battaglia, “chi semina vento raccoglie tempesta”.

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