L’ “altro” è il nostro mondo, il nostro specchio, la nostra medicina.
Quando per un lungo periodo della mia vita condivisi il tempo con una comunità senegalese, volli imparare tutto, il più possibile concessomi.
Eravamo in tredici, dodici uomini ed io, unica donna. Undici musulmani e due cristiani, Erik
ed io. Vivevamo in un appartamento di tre locali e mezzo, quasi orrendo.
Ebbi la fortunata opportunità di conoscere diverse sfumature d’Islam e un’altra cultura.
M’insegnarono la loro lingua, il wolof, e mi fecero parte di ogni celebrazione e festività.
Vollero partecipare alla messa di mezzanotte per rispetto del mio credo. Non si fecero mai il segno della croce, ma ogni Amen era proferito con sincero intento.
Il pranzo di Natale veniva consumato in allegria a casa dei miei genitori, dove tutta la
famiglia era presente… bei momenti! Chiamavano Mamma e Papà i miei genitori ed i miei
genitori gli accoglievano come figli… caldi momenti… Conobbero e gustarono la raclette, la fondue, la polenta…
Insomma, tutto ciò per introdurre un concetto elementare e meraviglioso nel contempo, su cui i miei “fratelli neri” (termine corretto) amavano interrogarsi: “Perché i toubab vogliono vivere da soli?” (toubab= europeo).
Spesso mi dicevano sconsolati: “Sai che i toubab sono matti perché vogliono vivere tutti
separati, ognuno vuole la sua casa. E’ per questo che poi si ammalano!”
A ben pensarci: cavoli quant’è vero!
Per noi che condividevamo un appartamento di tre locali e poco più, c’era sempre qualcuno con cui fare quattro chiacchiere, costruire, mangiare, ridere, piangere… ma quant’è bello e buono il pianto accolto e consolato?!
Davvero era tutto più salubre, semplice e felice!
Amavano ripetermi: “Nit, nit ay garabam” che tradotto significa:”La persona è la medicina
della persona”. Se penso a tutte le volte che in generale ho sofferto di più, è stato quando mi son trovata sola.
Punto!
Per tanto ho anche la prova del nove: se avevo delle creature amiche vicino, ecco… tutto era più sopportabile! Superabile!
Abbiamo bisogno del nostro prossimo per stare bene. E’ fondamentale avere un nucleo caldo e accogliente. Si dice che bastino tre persone a credere in te per far sì che tu possa arrivare ovunque, realizzare i tuoi progetti, essere felice…tre persone!
Questo significa che trovarsi anche in pochi ci rende più forti. La solitudine invece diminuisce la forza, la fede, il valore del fare, la gioia, la condivisione, mentre decuplica il dolore, la paura e tutte quelle sensazioni che oggi stanno come un cancro avanzato, distruggendo il nostro tessuto sociale. E con esso ovviamente la nostra salute.
Ricordo i tempi delle elementari, ogni anno c’era il periodo del morbillo, della pertosse,
dell’influenza… dei pidocchi. Poche storie: l’impestata era assicurata, e ci si immunizzava senza tanti clamori. Le trame della storia del paese erano costellate da epidemie!
Tutti ammalati di morbillo, si stava male e si restava a casa, non si aveva certo la forza di
andare a giocare. Qualche settimana a letto e tutto passava, e tutto ricominciava l’anno successivo.
Non c’erano discriminazioni, nemmeno per i pidocchi. Epidemia, che parola pertinente.
Ricordo che allattavo mia figlia mentre il regime Ceausescu cadeva. Caddero le mura e svelarono rubinetteria d’oro zecchino nei bagni dei palazzi reali e orfani abbandonati a loro stessi in strutture fatiscenti.
Questi orfani, inermi, abbandonati pure dalle cure igieniche di base, non avevano mai avuto nessun contatto, non venivano toccati, mai. Quando furono scoperti tali orrori, enti di beneficenza, catene di solidarietà e volontari da ogni parte d’europa, attivarono i soccorsi.
Queste creature furono introdotte in altre strutture, vennero curate, nutrite vestite.
Ben presto però si rese palese l’irrimediabilità del danno causato. Testarono il loro Qi, era pari a quello di un lobotomizzato. Imprigionati nelle loro culle per anni, avevano la muscolatura sottosviluppata. Insomma, queste creature furono giudicate irrecuperabili.
“Nit, nit ay garabam!”
Riassumendo: Noi siamo esseri sociali. Abbiamo la legittima necessità di contatto.
Abbiamo il diritto di poterci ammalare (anche perché uno non lo fa di proposito).
Abbiamo l’indiscutibile bisogno d’amore/amare e di cura/curare.
Abbiamo il diritto di vivere per il semplice fatto che siamo vivi.
Abbiamo diritto alla vita e alla promessa di felicità e libertà che ci è stata fatta, quel di che
nascemmo…
Ora sappiamo che il vero valore della vita consiste nel “far parte con Amore”, qualsiasi cosa accada!
Articolo e testimonianza a cura di Paola Grandi