Dal 24 al 27 febbraio si è tenuto nei pressi di Dresda, in Germania, un incontro internazionale a cui hanno preso parte rappresentanti giovanili provenienti da diverse nazioni d’Europa.
L’incontro, primo traguardo di una serie di strette relazioni che ormai si mantengono da svariati mesi, è servito a fare il punto sulla situazione attuale, dopo due anni di “stato di emergenza pandemica” e proprio mentre in Europa, a circa vent’anni dalla fine del conflitto in Serbia, è stata nuovamente dissotterrata l’“ascia di guerra”.
Trascorrendo insieme questi giorni, e visitando una città altamente simbolica, in quanto mostra ancora i segni sia dei bombardamenti “dimostrativi” alleati (che la distrussero completamente proprio nel febbraio del 1945, sterminando decine di migliaia di civili con bombe incendiarie senza che ciò avesse alcuna utilità militare in una guerra ormai segnata), sia della contrapposizione post-bellica Est-Ovest (che qualche sedicente statista, comodamente seduto nella sua “stanza dei bottoni”, vorrebbe oggi forzatamente riproporre), si è deciso di sedersi attorno a un tavolo e redigere una dichiarazione che sarà pubblicata a breve. La speranza è ovviamente che le affermazioni in essa contenute possano essere di stimolo alla riflessione per chiunque vorrà leggerle. Raramente, infatti, in questi due anni, si è sentito parlare dei giovani, se non come vittime sacrificali in uno stato di cose già predisposto, e oggetto di propaganda, alla quale moltissimi si sono purtroppo acriticamente accodati; ancor più raramente si è data ai giovani la possibilità di esprimersi liberamente. Tuttavia, se le opportunità non ci sono date, queste vanno create: così infatti si è fatto.
Si è preso atto, ancora una volta, che ciò che ci unisce è ben più di ciò che ci divide, e che ciò che apparentemente ci divide è altresì un invito all’approfondimento e alla reciproca conoscenza: da linguista, ad esempio, ricordo bene alcuni dialoghi intercorsi sul legame tra le lingue baltiche (lituano e lettone, in quanto l’estone, diversamente da quel che comunemente si ritiene e si studia in molti libri di geografia, appartiene al ceppo ugro-finnico e l’Estonia dovrebbe essere considerata nazione scandinava piuttosto che baltica) e quella latina.
Si è voluto ribadire che ogni essere umano ha per natura una dignità intrinseca e inalienabile, e che da essa (non da una concessione statale o da un documento digitale) derivano i diritti cosiddetti “naturali”. Similmente, ci si è trovati d’accordo sul fatto che senza alcun riferimento a principi assoluti e non negoziabili (in primis la Verità) non può esserci dialogo, ma tutto diventa sterile propaganda di opinioni contrapposte, dove a spuntarla è solitamente il più arrogante. Infatti, come recita la dichiarazione, solo attraverso un libero dialogo (laddove per “libero” si intende “ancorato al vero bene”) la Verità potrà infine prevalere.
Dopo due anni in cui, con paura e minacce, ci è stato costantemente fatto credere che il nostro prossimo sia un nemico da cui guardarci e da tenere ad almeno un metro di distanza con tutte le protezioni del caso, ci si è voluti vedere di persona perché l’uomo, come diceva Aristotele, è anche un “animale sociale” e le malattie, qualora si manifestino, devono essere curate senza dare la caccia all’untore di manzoniana memoria.
Con la consapevolezza che le guerre nascano anzitutto da questi sentimenti di odio che si sviluppano nel cuore dell’uomo, ci si è opposti decisamente alla propaganda dell’odio verso popoli e nazioni, così come a qualsiasi altra azione diretta o indiretta volta ad alimentare una tale situazione di crisi permanente e gli interessi di terzi nel turbare la pace. Una pace che non è, come dicevano gli antichi Romani, una sorta di derivato della guerra dove il più forte comanda nel deserto[1], incutendo paura ai sudditi superstiti, ma è piuttosto il frutto di solidarietà e reciproco rispetto nei confronti di ogni essere umano.
Ci si è infine interrogati, alla luce della “rivoluzione dell’identità digitale” in atto, sul modo in cui rapportarsi a questi temi, ribadendo che, come ciascuno dovrebbe avere il diritto alla propria integrità fisica ed alla tutela della propria vita privata, così è necessario che sia garantito il diritto all’“habeas mentem”, contro la manipolazione delle coscienze.
Trattandosi di una dichiarazione programmatica, anche il testo che è stato elaborato a Dresda soffre dei problemi comuni a tutte le dichiarazioni similari, già individuati da Jacques Maritain nella stesura del commento alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ossia in particolare la mancanza di specificità su talune tematiche pur menzionate in linea generale. Tuttavia, dinanzi alla sistematica decostruzione della realtà oggettiva a cui stiamo assistendo, è parso utile porre dei “paletti”, punti di partenza per una riflessione ulteriore e, si spera, per un cambio di marcia.
Florio Scifo
[1] Cfr. oltre al famoso proverbio “Si vis pacem, para bellum” (“Se vuoi la pace, prepara la guerra”), anche ciò che Tacito fa dire a Calgaco in merito ai Romani: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” (“Dove fanno il deserto, lo chiamano pace”).