Paradossalmente, in un momento in cui la tutela dell’umano, in quanto tale, nel mondo occidentale entra in crisi, per la perdita generalizzata del senso della sacralità della vita, avanza una nuova diffusa consapevolezza della dignità degli esseri senzienti non umani.
Con la recente riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione quelli che comunemente chiamiamo “animali” hanno giuridicamente assunto una veste diversa, pregna di una dignità propria e non più derivata.
Vi è stata recentemente una interessante conferenza sui diritti degli animali al Consiglio di Stato (cfr. https://www.youtube.com/watch?v=IjiR1D2DCdA ) dove valenti oratori hanno spiegato il percorso, in via di svolgimento, degli esseri senzienti non umani verso la loro emancipazione dal loro conduttore umano non più “padrone”.
Itinerario testimoniato dal passaggio della tutela penale contro il maltrattamento e lo sfruttamento degli animali da una tutela di natura riflessa, connessa esclusivamente ad esigenze “umane”, ad un’altra diretta, invece ancorata alla vera e propria difesa di diritti propri degli animali.
Sebbene si sia detto che l’art. 9 della Costituzione, nella sua nuova formulazione, non sia una norma che, di per sè, allarghi la soggettività giuridica degli animali ma soltanto centralizzi allo Stato la tutela, con una riserva di legge in materia; tuttavia, la nuova norma ha aperto il percorso verso il riconoscimento della dignità propria dell’animale, riconosciuta in norme di diritto e della tutela dell’animale proprio in quanto essere vivente, senziente, non umano.
Certamente il percorso era obbligato per l’Italia dall’esistenza di una norma superiore alla Costituzione: l’art. 13 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che tale soggettività animale l’aveva già delineata, ed imposta agli Stati come necessaria.
Dunque, secondo i relatori del suddetto convegno, gli animali, dopo l’entrata in vigore dell’art. 13 del tfue e la modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione, non sono più “cose” ma appartengono ad un tertium genus.
Un terzo genere, dunque, non persone né cose ma qualcosa d’altro che, paradossalmente, si affianca allo status nuovo dell’intelligenza artificiale: una strana correlazione, quindi, è stata suggerita, laddove un essere vivente, senziente, non umano dovrebbe mutuare la sua disciplina giuridica da quella della personalità elettronica, cioè quella di un essere che vivente non è.
Quest’ultimo accostamento è ampiamente criticabile, anche eticamente, in quanto la tutela di esseri viventi capaci di percezione reale non può essere, a parere di chi scrive, mutuata da una disciplina delle macchine per quanto essa sia già ipotizzata e articolata; tutto ciò, a pena di retrocedere gli animali di nuovo al rango di semplice res, riportandoli dalla finestra al rango di cose, negandogli proprio quella maggior tutela auspicata.
Dunque, la riforma della Costituzione prende atto del fatto che gli esseri senzienti non umani “gli animali” hanno una volontà propria e la comunicano: hanno dei sentimenti, delle paure, una personalità e che questa deve essere tutelata dall’ordinamento.
Dal dibattito però emerge un dato centrale che, seppure il soggetto vivente non umano, in astratto, ha la capacità d’instaurare relazioni giuridiche da se stesso, tuttavia, nonostante la riforma costituzionale, ancora l’animale non può da solo pretendere un certo comportamento a tutela dei suoi interessi; né, nei suoi confronti, può parlarsi di doverosità comportamentale: nel senso che non può pretendersi che l’animale rispetti lui le norme poste che lo riguardano. In questo contesto, post riforma costituzionale, bisogna vedere cosa rimane valido della disciplina preesistente in materia di animali e ci si è riferito all’art. 19 ter delle disposizioni di attuazione al codice penale, al d.l. 28.02.2021 n.36 sull’animale atleta, alla pletora di norme regionali e di disposizioni amministrative, ormai caducate dalla introdotta riserva di legge statale. In tal senso, è stato sollecitato dagli illustri oratori di agire in giudizio per fare progredire la tutela, sollevando, in casi pilota, opportuni incidenti di costituzionalità davanti alle corti competenti, per eliminare, in via di prassi giurisprudenziale, le norme obsolete, data la lentezza del legislatore.
Sulle ragioni di tutela degli animali si è, inoltre, aperto un dibattito più ampio, passando in rassegna le varie teorie storicamente vigenti in tema di protezione degli animali: si sono reputate ormai superate le teorie della “simpatia” ovvero che gli animali non siano solo istintuali ma seguano anche loro regole comportamentali non istintuali; dell’”utilità”, nella misura in cui danno alla società un benessere maggiore, un quid pluris; teoria “del valore in sé” della specie: cioè, ogni specie è un unicum che va tutelato di per sé; teoria “della tutela degli interessi del più debole”.
Si è giunti alla considerazione che l’essere vivente, senziente non umano, va tutelato in sé, perché vive, esprime sentimenti, soffre: ha, quindi, una personalità giuridica da creare e riconoscere.
Alla luce delle suddette considerazioni anche la possibilità di sperimentazione su animali e la “vivisezione” deve essere oggetto di una totale rivisitazione da parte del legislatore ordinario: stante la riserva di legge prevista in materia e la riconosciuta protezione obbligatoria diretta e non più riflessa degli esseri senzienti non umani anche sotto il profilo della incostituzionalità de facto dell’art. 19 ter disposizioni di attuazione al codice penale, laddove, esclude dall’applicazione della normativa penale la sperimentazione su animali.
Infine, la stessa questione della sperimentazione su animali si riflette sul problema dell’obiezione di coscienza per l’uso di farmaci o prodotti farmaceutici sperimentati su animali, prevista dalla legge 413 del 1993; quest’ultima deve ritenersi ormai una legge nazionale vigente ed in perfetta attuazione della riserva di legge prevista dal nuovo art. 9 della Costituzione e, soprattutto, rivendicabile in via generalizzata da tutti a fronte di qualsiasi imposizione terapeutica statale passata o futura.